sicurezza nella verniciatura del legno

Vernici, diluenti, cabine, pistole, distillatori, polveri di legno: la sicurezza nella verniciatura del legno è un vincolo o un’opportunità? 

SICUREZZA NELLA VERNICIATURA: LE AUTORIZZAZIONI

Per iniziare l’attività produttiva, é necessario ottenere una serie di permessi e autorizzazioni, che riguardano la corretta realizzazione dell’ambiente di lavoro.

Certificazione di agibilità

Deve essere richiesta al Sindaco o, in caso di affitto, bisogna verificare che sia stata rilasciata al proprietario dei locali. Il certificato viene concesso dopo che il Sindaco ha accertato il pieno rispetto delle norme igieniche, statiche e di sicurezza.

Notifica di inizio attività

Per tutte le imprese in cui siano occupati più di tre addetti (nel numero devono essere compresi anche i soci, coadiuvanti e dipendenti) I’art. 48 del DPR 303 del ‘56 prevede che chiunque inizia od amplia l’attività è tenuto a darne notifica alla USSL di competenza. La comunicazione va fatta in bollo, usando apposita modulistica ove esistente. In allegato si dovranno produrre le planimetrie della zona, le planimetrie dei locali in scala, con la dislocazione dei macchinari e degli impianti. In alcuni Comuni tale obbligo vale anche per imprese con un solo dipendente.

Autorizzazione sanitaria

I regolamenti comunali di igiene prevedono l’obbligo dell’autorizzazione sanitaria (da richiedere al Comune) per tutti quei locali dove si svolgono le attività di lavorazione del legno, incollaggio e verniciatura. Le modalità con cui si richiede l’autorizzazione possono variare da Comune a Comune. Senza autorizzazione sanitaria non è concesso l’inizio della attività ed in mancanza di essa é prevista l’ordinanza di chiusura.

Caratteristiche essenziali dei locali

Vediamo le prescrizioni principali richieste dal DPR 303 del 19/3/1956 ai locali adibiti alle attività di lavorazione del legno, verniciatura e incollaggio. Salvo speciali deroghe, da richiedersi alla USSL, é vietato utilizzare locali interrati o seminterrati. L’altezza dei locali, rilevata dal piano pavimento al soffitto, non può essere inferiore a tre metri. Il conteggio della cubatura non deve risultare inferiore a dieci metri cubi per addetto, compreso il titolare. La superficie conteggiata su ogni addetto non può essere inferiore ai due metri quadrati. Il ricambio di aria deve essere frequente. Il posto di lavoro deve essere sufficientemente illuminato. Il laboratorio deve essere provvisto di adeguati servizi igienici.

Impianto di terra

Tutte le parti metalliche, a rischio di contatto, delle macchine e degli apparecchi, devono essere collegate a terra, come pure le parti metalliche, presenti nei locali, che possono accidentalmente andare in tensione. Tutte le prese devono avere il polo di terra. ll conduttore, detto di protezione, che collega i poli delle prese e le parti metalliche all’impianto di terra, deve avere dimensioni idonee e l’isolante deve essere di colore giallo-verde. L’impianto di terra è costituito da più dispersori (picchetti piantati nel terreno), di cui almeno uno ispezionabile, collegati tra di loro e al conduttore di protezione.

Interruttori di protezione

Gli interruttori servono per togliere tensione alle linee elettriche in caso di non utilizzo e quando si devono eseguire lavori sulle macchine o sulle linee stesse. Gli interruttori delle linee principali sono inoltre dotati di dispositivi che interrompono automaticamente la tensione in caso di corto circuito o di sovraccarico (ad es. un motore che si blocca). Questi interruttori, detti automatici, sono indispensabili perchè proteggono le linee e le macchine da ulteriori danneggiamenti in caso di guasto e intervengono anche in caso di contatti accidentali, purchè ci sia un idoneo impianto di terra.
Un particolare tipo di interruttore automatico è l’interruttore differenziale, che è ormai oggi di uso universale e che deve essere sempre installato almeno come interruttore generale. Le particolarità e le ragioni del successo dell’interruttore differenziale stanno nella sua velocità e sensibilità di intervento, con conseguente notevole riduzione della pericolosità dei contatti diretti e indiretti.

Impianti elettrici in atmosfera potenzialmente esplosiva

La presenza diffusa di vapori di solventi e vernici infiammabili nelle zone in cui si usano solventi, impone di ricorrere ad impianti elettrici del tipo AD (anti deflagrante), a meno che vi siano sistemi di blocco nel caso l’aspirazione non sia adeguata.

Illuminazione di emergenza

Nei luoghi di lavoro occorre installare un impianto di illuminazione sussidiaria o di emergenza, che entri immediatamente in funzione in caso di necessità e che garantisca un’illuminazione sufficiente per intensità, durata, numero e distribuzione delle sorgenti luminose. L’impianto di illuminazione sussidiaria, ha lo scopo di rendere sicuro ed agevole lo sfollamento delle persone e di evitare qualsiasi pregiudizio alla sicurezza delle persone e degli impianti, in caso di interruzione dell’alimentazione di energia elettrica.

Denuncia degli impianti di terra

Gli impianti di messa a terra devono essere denunciati alle ASL mediante la consegna di un modulo definito “B” in duplice copia, debitamente compilato da un qualificato tecnico installatore e firmato dal titolare dell’impresa. L’impianto di messa a terra deve essere verificato prima della messa in servizio e poi periodicamente ad intervalli non superiori a due anni.

Sicurezza delle macchine e marcatura CE

Con il recepimento delle Direttive europee (Dpr 459/96), le macchine devono rispondere ai requisiti essenziali di sicurezza e di tutela della salute: devono essere quindi costruite in conformità a norme “armonizzate”. La conformità ai requisiti essenziali di sicurezza è attestata dall’apposizione del marchio di conformità CE sulla macchina, nonchè dalla dichiarazione di conformità. Il progettista deve tener conto non solo della macchina che sta ideando, ma deve anche progettare un prodotto che si integri bene con i diversi ambienti e i diversi utilizzi.

Legge 626

Il Decreto Legislativo n. 626 del 19/09/1994, pubblicato sul supplemento ordinario alla “Gazzetta Ufficiale” n. 265 del 12/11/1994, aggiornato dal DL n. 658 del 30/11/1994 e da numerosi successivi decreti, recepisce la direttiva quadro europea 89/391/CEE e le sette direttive particolari che la integrano, che affrontano il tema della sicurezza e della salute nei luoghi di lavoro, articolandosi in dieci Titoli e tredici Allegati. Questa normativa si applica a tutti i settori di attività (artigianali, industriali, agricole, commerciali, amministrative, educative, etc.) e comunque a tutte le imprese che occupano dei lavoratori che la legge indica come “…persone aventi rapporto di lavoro subordinato anche speciale, soci delle cooperative o delle società anche di fatto, etc…” Vengono introdotti nuovi concetti per strutturare il sistema di sicurezza aziendale e nuove figure di riferimento che vanno ad affiancarsi a quelle già indicate dalle normative antecedenti. Oltre ai principi di collaborazione ed informazione tra datore di lavoro e dipendenti, vengono indicati tre momenti fondamentali per la costruzione della sicurezza aziendale, che ritroviamo in vario modo in tutti i Titoli del Decreto. Essi sono:

  • check up per la valutazione dei rischi e stesura di una relazione tecnica riassuntiva;
  • formazione dei dipendenti;
  • controlli sanitari e sopralluogo medico in azienda effettuati dal medico competente.Obiettivo principale di questa legge è di rendere il datore di lavoro autore, eventualmente con l’aiuto del servizio di prevenzione appositamente organizzato all’interno dell’azienda, o di servizi di consulenza esterni, della prevenzione e della riduzione del rischio nella sua attività produttiva.
Compiti del datore di lavoro

Valuta i rischi e prende misure idonee per la prevenzione e la sicurezza. Programma tempi e modalità di attuazione di queste misure. E’ direttamente responsabile della sicurezza e della salute dei lavoratori, che deve formare ed informare sui rischi aziendali. Nomina le figure del responsabile alla sicurezza (in alcuni casi, può essere lo stesso datore di lavoro, purché abbia frequentato un apposito corso di formazione in materia di sicurezza) e del medico competente. Oltre al servizio di prevenzione, il decreto prevede la designazione di un rappresentante per la sicurezza eletto direttamente dai lavoratori, che deve essere consultato e ricevere le informazioni e la documentazione necessaria.

Compiti del responsabile della sicurezza

E’ eletto nell’ambito delle rappresentanze sindacali all’interno dell’azienda o, in assenza di queste, direttamente dai lavoratori. Per aziende fino a 15 dipendenti può essere la stessa persona per più imprese nell’ambito territoriale. Può essere un dipendente interno all’azienda o un consulente esterno, che affianca il datore di lavoro nei suoi compiti, purché possegga attitudini e capacità adeguate.

Compiti del medico competente

Collabora con il datore di lavoro e con il servizio di prevenzione/protezione. Informa i lavoratori, che mantiene sotto costante monitoraggio sanitario. Visita gli ambienti di lavoro e ne valuta la sicurezza.

Compiti dei lavoratori

Eleggono il rappresentante per la sicurezza. Rispettano le istruzioni impartite e non manomettono o alterano i macchinari. Utilizzano i mezzi di protezione. Partecipano obbligatoriamente ai corsi di formazione.

 Scheda di autovalutazione

Per facilitare la valutazione dei rischi all’interno dell’azienda, un gruppo di lavoro formato da alcune ASL ha messo a punto questionari indirizzati in modo specifico alle aziende piccole e medie del comparto legno. Mediante la compilazione dei questionari, il datore di lavoro individua le caratteristiche di igiene e sicurezza che devono essere obbligatoriamente presenti all’interno della sua azienda: dove la risposta è negativa è indispensabile uno specifico intervento, con l’individuazione dei tempi e delle modalità di effettuazione. Ovviamente, non verranno compilati quesiti che riguardano attività non presenti in azienda (vedi Appendice 7, scheda di autovalutazione per la sicurezza nella verniciatura e nell’incollaggio).

manuale sicurezza

Legge 277/91: piombo e rumore

Le aziende che impiegano vernici contenenti piombo hanno l’obbligo di valutare il rischio. La valutazione comprende una determinazione del tenore di piombo nell’aria dell’ambiente di lavoro (PbA) e della piombemia (PbE) e va ripetuta al massimo ogni 3 anni. I risultati della valutazione devono essere trascritti in un apposito registro, di cui ciascun lavoratore può prendere visione. Consultando il rapporto di valutazione si ha il quadro degli adempimenti di prevenzione che l’azienda è tenuta ad adottare. Tutte le imprese sono tenute inoltre alla valutazione del rischio dovuto al rumore nel caso di emissioni superiori agli 80 dBA. In base alla valutazione del rischio, effettuata strumentalmente, l’imprenditore deve adempiere a una serie di obblighi, il cui mancato assolvimento può comportare sanzioni da 2 milioni a 50 milioni di lire per i titolari ed i dirigenti, da 1 a 10 milioni per i preposti, da 300 mila a 2 milioni per i lavoratori che non osservano le norme di sicurezza. Maggiori dettagli sono disponibili nelle appendici 4 e 5.

Sostanze nocive

Le sostanze nocive quali colle, solventi e vernici, oltre che essere conservate in recipienti a tenuta e muniti di buona chiusura, non devono essere accumulate nei locali di lavoro oltre le necessità della produzione in corso (art. 18 DPR 303/56). Il datore di lavoro, all’atto dell’acquisto di tali sostanze, dovrà accertarsi che nei contenitori siano riportati i contrassegni ed i simboli previsti dalla legge sulla etichettatura.
L’art. 19 del DPR 303/56, prevede che il datore di lavoro sia tenuto ad effettuare, ogni qualvolta sia possibile, le lavorazioni pericolose o insalubri in locali separati, in modo da non diffondere l’inquinamento verso lavoratori che svolgono mansioni diverse. La zona di essiccazione dovrà quindi essere separata dall’area di verniciatura. Per la verniciatura, l’essiccazione e l’incollaggio, l’art. 20 del DPR 303/56 prevede l’installazione di un impianto di aspirazione, atto ad impedire o ridurre al minimo possibile lo sviluppo e la diffusione di vapori nocivi e/o odori nell’ambiente di lavoro; l’aspirazione va posizionata nel punto più vicino possibile all’emissione.
L’art. 21 del DPR 303/56 prevede che nelle lavorazioni in cui si sviluppano polveri di qualsiasi specie il datore di lavoro è tenuto a realizzare impianti per impedire o ridurne al minimo possibile lo sviluppo e la diffusione nell’ambiente di lavoro.
L’aspirazione delle polveri deve essere eseguita possibilmente in corrispondenza del punto in cui si formano.

Aspirazioni

Tutte le macchine per la carteggiatura devono essere dotate di adeguato impianto di aspirazione. La velocità di captazione nel punto in cui si forma la polvere non deve essere inferiore a 1 m/sec.

Dispositivi di protezione individuale (DPI)

Il ricorso a tali mezzi é ammissibile solo nei casi in cui non sia effettivamente possibile ricorrere a mezzi tecnici che ne rendano superfluo l’impiego. In particolare, si dovrà tendere a ridurre al minimo la necessità di utilizzare mezzi quali maschere per polveri, gas o vapori, in quanto difficilmente sono sopportabili dal lavoratore, se non per fasi molto brevi. Invece nella manipolazione di tali sostanze è obbligatorio l’uso di indumenti di protezione e di altri particolari mezzi come guanti, copricapo e occhiali.

Pronto soccorso

La legge prevede che in ogni azienda siano presenti presidi sanitari per svolgere un’azione di pronto soccorso. Questi presidi possono essere individuati a seconda delle caratteristiche aziendali (numero di Iavoratori, distanze da posti pubblici di pronto soccorso, presenza di particolari rischi). Una cassetta di pronto soccorso sufficientemente completa dovrebbe comprendere: cotone emostatico, laccio emostatico, un paio di forbici, cotone idrofilo, compressa di garza idrofila, cerotto, bende, un preparato antiustione, disinfettante (bialcool, citrosil, ecc), polvere alla simanite (disinfettantecicatrizzante), antinevralgico (nisidina,optalidon, aspirina, ecc), pomata per traumi o contusioni (lasonil, reparil, gel ecc), collirio, tintura di iodio, analettico-cardiorespiratorio (sjmpatol, micoren).
Per le aziende ubicate lontano dai centri pubblici permanenti di pronto soccorso, con più di 5 dipendenti, occorre avere la camera di medicazione.

Servizi igienici

I servizi igienici devono essere adeguati per numero, tenuti ben puliti a cura del datore di lavoro e distinti per sesso (lavandini, gabinetti e/o docce). Nelle nuove costruzioni bisognerà attenersi ai parametri previsti dai nuovi regolamenti comunali di igiene.

Spogliatoi e armadietti

Si consiglia l’installazione di armadietti a doppio scomparto, al fine di separare gli abiti da lavoro da quelli civili. Per le imprese oltre i 20 dipendenti, in caso di lavorazioni particolari, sono obbligatori anche locali adibiti a spogliatoi.

Pasti

E’ vietato consumare o conservare cibo nei luoghi adibiti alle lavorazioni. Ai lavoratori devono essere forniti i mezzi adatti alla conservazione, al riscaldamento dei cibi e al lavaggio delle stoviglie. All’interno dell’azienda é vietato bere vino, birra ed altre bevande alcooliche, salvo modiche quantità durante i pasti.

Visite mediche

II DPR 303/56, nonchè la Legge 277/91, prevedono che vengano sottoposti a visite mediche preventive e periodiche tutti i lavoratori impegnati in lavorazioni che espongono a sostanze o agenti nocivi. Le visite preventive sono quelle che si effettuano prima dell’assunzione, per verificare le condizioni generali di salute e l’idoneità specifica al lavoro. Queste visite consentono inoltre di accertare se nei lavori precedenti siano state contratte malattie professionali. Tali visite dovranno essere eseguite, a cura e a spese del datore di lavoro, da parte di un medico “competente”. Il datore di lavoro decide se avvalersi delle prestazioni della USSL o di privati. In alcune regioni le visite mediche preventive per gli apprendisti vanno effettuate obbligatoriamente presso le USSLL. Inoltre la Legge 277/91 obbliga le imprese, i cui lavoratori siano esposti ai rischi in essa contemplati (rumore, piombo, amianto) a dotarsi della figura di un “medico competente”. Oltre alla periodicità prevista dal DPR 303, l’USSL può rendere obbligatoria, I’esecuzione di visite mediche e relativi esami integrativi, quando ci si trovi in presenza di sostanze ritenute pericolose, pur se non inserite nelle tabelle del suddetto decreto. Il datore di lavoro nella cui azienda sia previsto l’obbligo di visite mediche periodiche, può richiedere, sulla base dell’art. 35 del DPR 303/56, di essere autorizzato dalla USSL a modificare la periodicità, fino al raddoppio di esse. L’USSL potrà concedere tali autorizzazioni dopo aver valutato il grado di riduzione del rischio o la sua completa eliminazione, anche in dipendenza dell’efficacia delle misure di prevenzione attuate dall’azienda. L’azienda, attraverso il medico competente, dovrà curare la tenuta di registri in cui sia riportato esclusivamente e sinteticamente l’esito di tali controlli preventivi e periodici; la documentazione sanitaria personale dovrà invece essere conservata a cura del medico incaricato dell’attività, per garantire il segreto professionale.
Maggiori dettagli sono disponibili nell’appendice 6

Infortuni sul lavoro e malattie professionali

Il datore di lavoro è obbligato a presentare al momento dell’inizio dell’attività (almeno 5 giorni prima), denuncia di esercizio all’lNAlL, specificando la natura dei lavori ed in particolare se essi comportano il rischio di malattia professionale. Vanno inoltre indicati:

  • le persone assicurabili che lavorano nell’azienda gli importi dei salari che saranno erogati (presunto)
  • i macchinari e le attrezzature
  • generalità e codice fiscale del titolare.Quando si verificano variazioni che comportano modificazioni nella misura o nell’estensione del rischio, devono essere denunciate all’istituto entro 8 giorni. Il titolare o datore di lavoro deve denunciare all’lNAlL e all’autorià di Pubblica Sicurezza, entro due giorni da quello in cui ne ha avuto notizia (al datore di lavoro la comunicazione dell’infortunio, anche se di lieve entità, deve essere fatta immediatamente dal lavoratore), gli infortuni sul lavoro guaribili in più di tre giorni. Le malattie professionali devono essere denunciate all’lNAlL entro 5 giorni dal giorno in cui si è manifestata la malattia.E’ importante, successivamente alla denuncia iniziale, fare avere all’lNAlL i certificati medici che prorogano l’inabilità al lavoro e il certificato finale che determina la chiusura dell’infortunio. L’lstituto infatti non procede all’erogazione della prestazione economica senza le suddette certificazioni.
  • Premio di assicurazione

E’ dovuto dal titolare all’INAIL. E’ determinato dal tasso di rischio relativo all’attività svolta. Il tasso può essere aumentato o diminuito in funzione dell’andamento infortunistico aziendale. Dal 1 gennaio 1991, il premio per l’anno in corso e il conguaglio per l’anno precedente, devono essere pagati entro il 20 febbraio di ogni anno.

Prestazioni

L’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali dà diritto alle seguenti prestazioni:

  • indennità giornaliera per inabilità temporanea
  • rendita per inabilità permanente
  • prestazioni ai superstiti
  • cure medico-chirurgiche e riabilitative, cure termali.

Registro infortuni

Tutti gli infortuni e le malattie professionali, devono essere annotati su un apposito registro, che deve essere vidimato dal servizio di medicina preventiva e igiene del lavoro dell’USSL competente per territorio e conservato in azienda.

APPENDICE 1: LEGGE 626 E PROCEDURE PER PICCOLE E MEDIE IMPRESE

Decreto del ministero del Lavoro, di concerto con i ministeri dell’Industria e della Sanità: procedure standardizzate degli adempimenti previsti per le piccole e medie imprese in materia di sicurezza sul lavoro (decreti legislativi 626/94 e 242/96). La traccia non costituisce una modulistica “obbligatoria” ma solamente “consigliata” (il piccolo imprenditore può infatti utilizzare altri metodi).
Le piccole imprese al di sotto dei 10 addetti non sono obbligate a redigere un documento, ma solo ad attestare l’avvenuta effettuazione (entro il 1° gennaio 1997) della valutazione del rischio e degli obblighi ad essa collegati. Il decreto contiene una falsariga – ossia una traccia per puntiche dovrebbe guidare i piccoli imprenditori nella redazione del documento alla sicurezza, ossia quel risultato documentale finale da predisporre a seguito della valutazione del rischio.
Le piccole e medie imprese di cui all’allegato 1 del decreto legislativo 19 settembre 1994, n.626, come modificato e integrato dal decreto legislativo 19 marzo 1996, n. 242, tenuto conto della natura del rischio, possono utilizzare il modello allegato al presente decreto, per la redazione del documento di cui all’articolo 4, comma 2 del citato decreto legislativo.

Premessa

Va chiarito, preliminarmente, che esso non sostituisce il processo di valutazione dei rischi dell’articolo 4, comma 1 del suddetto decreto, né costituisce una linea guida per effettuare tale valutazione, anche se fa propri, implicitamente, alcuni dei criteri che si ritengono essenziali per la buona riuscita di tale processo. In particolare esso è indirizzato alle aziende di piccole e medie dimensioni caratterizzate da una bassa incidenza di rischio. Questa traccia deve, in ogni caso, essere considerata un riferimento non obbligatorio, che il datore di lavoro, se vuole, può utilizzare come guida alla Compilazione della già richiamata relazione. L’imprenditore che intende servirsi di questo modello tenga presente che esso va compilato in tutte le sue parti e corredato dalla documentazione di volta in volta suggerita, sempreché tale modello sia idoneo a illustrare la reale situazione aziendale. Esso consente al datore di lavoro di documentare che in azienda è stato attuato (naturalmente nei modi congruenti con l’entità dell’azienda e dei corrispondenti fattori di rischio) un sistema per tenere sotto controllo i rischi (esso sarà utile in particolare a quei datori di lavoro che, in forza delle disposizioni dell’articolo 10 del decreto in questione, intendono assumere personalmente il compito e le responsabilità del servizio di prevenzione e protezione). Altro obiettivo conseguibile è quello di documentare che la valutazione dei rischi è stata fatta nel rispetto dei criteri formali (coinvolgimento delle persone incaricate o associate, tempi di attuazione, consultazione delle parti interessate) e sostanziali (concretezza, globalità, congruenza, programmazione delle misure eccetera), che la legge prescrive al riguardo.

Le operazioni per la valutazione dei rischi in azienda

Il presente documento sintetizza il complesso delle operazioni svolte ai fini della valutazione di cui all’articolo 4 comma 1 del predetto decreto e si articola nelle seguenti sezioni:

  1. relazione;
  2. indicazione dei criteri seguiti;
  3. individuazione delle misure;
  4. programma per il miglioramento nel tempo dei livelli di sicurezza;
  5. documentazione e supporto.
Relazione

Azienda (ragione sociale)
Sede sociale
Rappresentante legale
Sede dell’azienda o dell’unità produttiva (cui è riferito il documento)
Attività svolta o esercitata (oggetto dell’impresa)
Nome del responsabile del servizio di prevenzione e protezione (se diverso dal datore di lavoro)
Numero delle persone dipendenti dall’azienda
Numero delle persone addette all’unità produttiva
Breve descrizione dell’attività lavorativa (con particolare riferimento agli elementi di rilevanza ai fini della sicurezza: rischi, modelli organizzativi, lavoro articolato su turni, notturno, in cantieri fissi/mobili ecc.)
Data, o periodo di effettuazione (della valutazione cui si riferisce il documento) La valutazione è stata effettuata dal datore di lavoro in collaborazione con:

  • servizio di prevenzione e protezione interno;
  • servizio di prevenzione e protezione esterno (indicare quale);
  • medico competente (indicare il nome);
  • altra consulenza tecnica (specificare quale);
  • altra consulenza sanitaria (specificare quale).

Il rappresentante dei lavoratori (dipendente/territoriale/di comparto, indicare il nome, la data di designazione da parte dei lavoratori, se conosciuta, e quella in cui è pervenuta all’azienda la relativa comunicazione) è stato consultato:

  • preventivamente (indicare la/le data/date significativa/e);
  • Durante lo svolgimento della valutazione (indicare la/le data/e significativa/e);
  • non è stato nominato.

Coinvolgimento dei lavoratori dipendenti:

  • – si, mediante intervista, questionario a schede, colloquio, altro (specificare)
  • – no
    Altre indicazioni ed osservazioni
Criteri seguiti

Si dà di seguito l’elenco dei fattori di pericolo presi in considerazione (segue elenco). Nella valutazione si è tenuto conto dei lavoratori dipendenti dell’azienda e anche dalle persone non dipendenti, ma presenti occasionalmente in azienda. I rischi rilevati sono i seguenti: (segue indicazione o descrizione). Per la stima dei rischi rilevati sono stati presi a riferimento gli elementi seguenti: (segue indicazione)

  • Regolamentazione di legge (specificare quale);
  • norme di buona tecnica (specificare quali);
  • principi generali di cui all’articolo 3 del decreto legislativo n.626/94;
  • altri (indicare quali)
    Misure di sicurezza

    Le misure di sicurezza conseguenti alla valutazione dei rischi sono quelle sottoindicate e suddivise in:

    1. misure per migliorare ulteriormente (in rapporto allo sviluppo del progresso della tecnica prevenzionistica) situazioni già conformi;
    2. misure per dare attuazione alle nuove disposizioni introdotte dal decreto legislativo n.626/94 nel testo modificato del decreto legislativo n.242/96.

    Per i lavoratori che necessitano della sorveglianza sanitaria ai sensi della legislazione vigente, sono stati definiti i relativi contenuti della sorveglianza stessa. Si dà di seguito l’elenco dei dispositivi di protezione individuale messi a disposizione dei lavoratori (segue elenco).

    Programma di miglioramento

    Il programma per il miglioramento nel tempo dei livelli di sicurezza è stato fatto come indicato di seguito:

    1. è stato definito un programma di controllo delle misure di sicurezza attuate per verificarne lo stato di efficienza e di funzionalità;
    2. è stato stabilito un programma di revisione periodica della valutazione dei rischi (solo per gli art.63 comma 5 e 78 comma 3) con le seguenti modalità (indicare le modalità);
    3. è in atto/definito (altro) un piano di informazione e formazione per i lavoratori dipendenti che viene/sarà/è stato svolto: in collaborazione con le organizzazioni sindacali; in proprio;
  • con la collaborazione di organismi paritetici; altro (specificare).
    Eventuali altre azioni (in relazione ai risultati della revisione periodica di cui alla lettera b). Ove presenti, si suggerisce di indicare i riferimenti seguenti:
  • alle istruzioni e procedure di sicurezza;
  • alle procedure di emergenza e di pronto soccorso;
  • al contenuto della sorveglianza sanitaria;
  • alla programmazione delle azioni di informazione e formazione.
    Documenti allegati
    1. schede specifiche di individuazione dei pericoli e di valutazione dei rischi;
    2. indicazione delle metodiche seguite per la valutazione delle esposizioni (rumore, sostanze pericolose, altri agenti fisici, chimici ecc.)
    3. documentazione particolare da allegare al presente documento in applicazione di specifiche disposizioni del decreto legislativo n.626/94;
    4. altra documentazione utile ad attestare la concreta effettuazione della valutazione come già descritta.
    Nota finale

    Il presente documento è stato:

  • sottoposto all’attenzione del rappresentante dei lavoratori in data (indicare la data)
  • portata a conoscenza di (indicare i destinatari), mediante (indicare le modalità)
  • Presente documento è la revisione n……………. del……………….(data di revisione).
    APPENDICE 2: COME SVOLGERE LA FORMAZIONE

    I ministeri competenti (Lavoro e Sanità) con un decreto hanno definito i contenuti minimi della formazione per i lavoratori, i rappresentanti per la sicurezza e per i datori di lavoro. Per rappresentanti e datori è prevista anche la durata base dei corsi di formazione: rispettivamente trentadue e sedici ore. E per i rappresentanti ci sono materie che vanno dai principi costituzionali e civilistici agli elementi di diritto sindacale, dalle competenze tecniche sui fattori di rischio e sulla relativa valutazione, alle nozioni di tecnica della comunicazione. A fine corso deve essere previsto per tutti l’attestato di frequenza. Le modalità per svolgere correttamente le attività di formazione sono indicate nel decreto 16/1/97 dei Ministeri del Lavoro e della Sanità “Individuazione dei contenuti minimi della formazione dei lavoratori, dei rappresentanti per la sicurezza e dei datori di lavoro”, di cui riportiamo il testo.

    Articolo 1: formazione dei lavoratori

    I contenuti della formazione dei lavoratori devono essere commisurati alle risultanze della valutazione dei rischi e devono riguardare almeno:

    1. i rischi riferiti al posto di lavoro e alle mansioni, nonché i possibili danni e le conseguenti misure e procedure di prevenzione e protezione;
    2. nozioni relative ai diritti e doveri dei lavoratori in materia di sicurezza e salute sul posto di lavoro;
    3. cenni di tecnica della comunicazione interpersonale in relazione al ruolo partecipativo.
    Articolo 2: formazione del rappresentante per la sicurezza

    I contenuti della formazione del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza sono i seguenti:

    1. principi costituzionali e civilistici;
    2. la legislazione generale e speciale in materia di prevenzione infortuni e igiene del lavoro;
    3. i principi soggetti coinvolti e i relativi obblighi;
    4. la definizione e l’individuazione dei fattori di rischio;
    5. la valutazione dei rischi;
    6. l’individuazione delle misure (tecniche, organizzative, procedurali) di prevenzione e protezione;
    7. gli aspetti normativi dell’attività di rappresentanza dei lavoratori;
    8. nozioni di tecnica della comunicazione.

    La durata dei corsi per i rappresentanti dei lavoratori è di trentadue ore, fatte salve diverse determinazioni della contrattazione collettiva.

    Articolo 3: formazione dei datori di lavoro

    I contenuti della formazione dei datori di lavoro che possono svolgere direttamente i compiti propri del responsabile del servizio di prevenzione e protezione sono i seguenti:

    1. il quadro normativo in materia di sicurezza dei lavoratori e la responsabilità civile e penale;
    2. gli organi di vigilanza e di controllo nei rapporti con le aziende;
    3. la tutela assicurativa, le statistiche e il registro degli infortuni;
    4. i rapporti con i rappresentanti dei lavoratori;
    5. appalti, lavoro autonomo e sicurezza;
    6. la valutazione dei rischi;
    7. i principali tipi di rischio e le relative misure tecniche, organizzative e procedurali di sicurezza;
    8. i dispositivi di protezione individuale;
    9. la prevenzione incendi e i piani di emergenza;
    10. la prevenzione sanitaria;
    11. l’informazione e la formazione dei lavoratori.

La durata minima dei corsi per i datori di lavoro è di sedici ore.

Articolo 4: attestazione dell’avvenuta formazione

L’attestazione dell’avvenuta formazione deve essere conservata in azienda a cura del datore di lavoro.

APPENDICE 3: SENTENZE IN MATERIA DI SICUREZZA
Omissione di cautele antinfortunistiche

La Corte di Cassazione, sezione prima penale, con la sentenza n.6755 del 4 luglio 1996 ha confermato che l’art.437 del codice penale – che punisce l’omissione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro – rappresenta un reato di natura permanente, che continua sino a che non viene eliminata la causa dell’infortunio. Non sono quindi ammesse deroghe o proroghe all’attuazione di norme sulla sicurezza del lavoratore. Sempre in tema di sicurezza del lavoro, la Corte di Cassazione, sezione quarta penale, con la sentenza n.7175 del 18 luglio 1996 ha sancito la validità del delitto di omissione colposa di cautele antinfortunistiche previsto dall’art.451 del codice penale. Tale articolo stabilisce l’esistenza di reato quando si crea il pericolo di infortuni sul lavoro a un numero indeterminato di persone. Tale indeterminatezza non significa che occorre la presenza di una collettività di lavoratori, ma che debbano essere salvaguardati dal pericolo i lavoratori momentaneamente e casualmente in servizio (anche uno solo).

Il datore di lavoro deve consegnare ai propri dipendenti macchinari sicuri

La Cassazione Penale sezione 4, del 12/05/1994 n.2030, ha confermato la piena responsabilità del datore di lavoro in tema di sicurezza, in quanto egli ha l’obbligo di consegnare ai propri dipendenti macchinari o utensili provvisti di ogni opportuno ed efficace dispositivo antinfortunistico. Ciò garantisce che il relativo funzionamento si svolga in condizioni di assoluta sicurezza, senza alcun pericolo per i lavoratori, la cui integrità fisica deve essere comunque ed in ogni caso assolutamente tutelata. Qualora la macchina sin dall’acquisto presenti evidenti deficienze di sicurezza, il datore di lavoro deve apportare quelle aggiunte o modifiche che rendano il funzionamento della stessa estremamente sicuro. Qualora un infortunio sul lavoro si verifichi in conseguenza dell’uso di una macchina i cui dispositivi di sicurezza sono mancanti o insufficienti, è irrilevante il fatto che in una precedente ispezione degli organi di tutela non sia stata rilevata alcuna irregolarità perché, avendo il datore di lavoro l’obbligo di attuare le misure antinfortunistiche e di accertarsi della loro esistenza, i macchinari che sono soggetti all’usura e con il passare del tempo subiscano modificazioni, devono essere sottoposti a revisione periodica.

Condanna per rimozione della sicurezza

Rimuovere i dispositivi di sicurezza di un macchinario, magari per accelerare i tempi della produzione, può costituire per un datore di lavoro un reato che il Codice normalmente prevede per i disastri e gli eventi che mettono a rischio la collettività, con la possibilità quindi di subire una condanna fino a 10 anni di reclusione. E’ quanto è capitato a un imprenditore di Scandicci, condannato dal tribunale di Firenze a cinque mesi di reclusione per il reato di “rimozione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro”, che risultava contestato fino ad oggi raramente in queste circostanze.

Dispositivi di protezione

La quarta sezione penale della Corte di Cassazione, con la sentenza n.7000 dell’11 luglio 1996, ha sancito che in caso di infortunio sul lavoro causato da una macchina sprovvista del prescritto dispositivo di protezione, il datore di lavoro che pur abbia delegato ad altri il compito di provvedere alla manutenzione delle attrezzature dell’azienda, é comunque penalmente responsabile.

Rumore: esposizione al rumore e misure tecniche per ridurne i rischi

La Corte Costituzionale, con la sentenza n.312 del 18 luglio 1996, ha confermato l’obbligo, penalmente sanzionato, del datore di lavoro di ridurre al minimo i rischi di esposizione al rumore ai quali i lavoratori possono essere sottoposti, attraverso misure tecniche, organizzative e procedurali. La corte ha chiarito che non é anticostituzionale l’art.41, comma 1, del DLgs. 15 agosto 1991, N.277 (attuativo della normativa CEE in materia di protezione contro i rischi da esposizione ad agenti chimici, fisici e biologici  durante il lavoro), nella parte in cui contrasterebbe con i principi di tassatività e determinatezza dei fatti che portano all’incriminazione.
La legge prevede l’obbligo – penalmente sanzionato – del datore di lavoro di ridurre al minimo, in relazione alle conoscenze acquisite in base al progresso tecnico, i rischi connessi alla esposizione al rumore, mediante misure tecniche, organizzative e procedurali concretamente attuabili.
Non sono quindi state accettate le obiezioni di coloro che ritenevano “vago” il principio dell’adeguamento al progresso tecnico.

Vendita di apparecchiature insicure e soggetti responsabili

Cassazione sezione quarta penale – Sentenza n.36 del 9 gennaio 1997. In caso di vendita di apparecchiatura sprovvista dei prescritti dispositivi di sicurezza in violazione dell’art.7 DPR 27 aprile 1955 n.547, sono penalmente responsabili sia l’amministratore delegato della società venditrice che non abbia delegato ad altri le funzioni tecniche, sia il responsabile dell’ufficio vendite di tale società incaricato di tenere i rapporti con l’azienda produttrice dell’apparecchiatura e di ricevere gli ordini di acquisto di tale apparecchiatura.

Macchine: certificazione di conformità alle norme antinfortunistiche

Cassazione sezione quarta penale – Sentenza n.8676 del 24 settembre 1996 – Pres.Scorzelli – Est.Battisti – PM (Conf.) Freda – Ric. Ieritano. In caso di infortunio sul lavoro occorso a una macchina sprovvista di adeguata protezione, è penalmente responsabile il datore di lavoro che abbia omesso di realizzare tale protezione, anche nel caso in cui la ditta venditrice abbia certificato la conformità della macchina alle norme antinfortunistiche. Le norme antinfortunistiche, infatti, come la Cassazione ha ripetutamente affermato, sono dettate anche per impedire le imprudenze o le negligenze dei lavoratori, dovute alle più disparate ragioni, non ultima la ragione di voler guadagnare tempo per pulire la macchina. La Cassazione ha più volte sottolineato che, ove si voglia considerare il lavoro – e, pertanto, il lavoratore – come uno dei fattori della produzione, questo fattore è indubbiamente il più nobile, nel senso che la integrità psicofisica del lavoratore, se è un valore che ha incontestabile importanza per il datore di lavoro, è, anzitutto, come vuole l’articolo 32 della Carta Costituzionale, un fondamentale diritto dell’individuo e uno degli interessi della collettività, il che comporta che il datore di lavoro, nell’organizzare quei fattori, debba avere cura, sopra ogni cosa, di quella integrità, anche valutando, al di là delle eventuali certificazioni, la rispondenza delle macchine alle previsioni antinfortunistiche, le possibili se non, addirittura, le probabili imprudenze del lavoratore nell’eseguire i compiti affidatigli.

Obblighi anti-infortuni

L’obbligo del datore di lavoro di garantire la salute del lavoratore sussiste anche in relazione alle condotte volontarie e di segno contrario del dipendente: l’imprenditore è pertanto responsabile per l’infortunio subito dal dipendente nell’esercizio dell’attività lavorativa, anche a fronte di una condotta imprudente di quest’ultimo, se tale condotta è stata determinata, o quanto meno agevolata, da un assetto organizzativo del lavoro non rispettoso delle norme antinfortunistiche. Sezione lavoro – Sentenza 29 maggio 1997, N.4782.

Obbligatorietà delle tecnologie disponibili sul mercato

Cassazione sezione terza penale – sentenza n. 3048 del 2 aprile 1997. Commette le contravvenzioni di cui agli artt.20 DPR 19 marzo n.303 e 41 DLgs 15 agosto 1991 n.277 il datore di lavoro che ometta di attuare le tecnologie già disponibili sul mercato atte a prevenire o ridurre al minimo l’inquinamento dell’ambiente di lavoro dovuto alla diffusione di fumi e gas e di rumore.

Massima sicurezza tecnologicamente possibile e principio di legalità

Cassazione sezione terza penale – sentenza n.4011 del 29 aprile 1997. Nel prescrivere l’obbligo del datore di lavoro di ridurre al minimo i rischi derivanti ai dipendenti dall’esposizione al rumore, l’art.41 comma 1 DLgs 15 agosto 1991 n.277 non viola il principio di legalità, essendo il precetto certo e univoco, dal momento che l’aver rimesso all’elaborazione e all’evoluzione della tecnica l’individuazione per ciascuna lavorazione dei provvedimenti opportuni per diminuire i rischi derivanti dall’esposizione al rumore, non implica mancanza di certezza e determinatezza della norma per omessa indicazione del comportamento dovuto.

Obbligo di informazione dei lavoratori

Cassazione sezione terza penale – Sentenza n.3053 del 2 aprile 1997. L’art. 4 lettera b) del DPR 27 aprile 1955 n.547, nel contemplare l’obbligo del datore di lavoro di “rendere edotti i lavoratori dei rischi specifici cui sono esposti”, fa riferimento ai rischi specifici non prevedibili sulla base della comune esperienza, e non ai casi in cui l’attività lavorativa non presenti alcuna pericolosità specifica e, quindi sia sufficiente seguire le normali regole di prudenza per evitare infortuni. Nella fattispecie, un lavoratore di una cooperativa di pulizie, salito su un davanzale per pulire i vetri esterni di un edificio, era precipitato. La Suprema Corte esclude che al presidente della cooperativa si possa addebitare l’omessa informazione del lavoratore sui rischi connessi all’attività di lavaggio dei vetri.

Il valore del TLV

Corte Cassazione sentenza n.2531 del 29/11/91. Gli imputati erano stati condannati dal Pretore alla pena di lire 900 mila di ammenda ciascuno per il reato di cui all’art. 20 del DPR n.303/56 (omissione di strumenti atti ad impedire lo sviluppo e la diffusione di vapori). Brama Flavio e Dario hanno impugnato la sentenza per dedurre che (per inerzia della Pubblica Amministrazione) mancano parametri certi per affermare la loro responsabilità penale (in pratica in Italia i TLV non hanno valore legale). La Cassazione ha comunque dato ragione al Pretore, in quanto non erano stati utilizzati sistemi per ridurre le emissioni.

Cosa significa “concretamente attuabile”?

La sentenza della Corte Costituzionale n.312 del 18 luglio 1996 é di particolare rilevanza, in quanto nella legge 626 si fa specifico riferimento alle “…misure tecniche, organizzative e procedurali che il datore di lavoro deve adottare per ridurre al minimo i rischi derivanti dall’esposizione al rumore”. Questo concetto apre molte interpretazioni sulla quantità e la qualità degli interventi preventivi possibili, con evidenti risvolti economici e tecnologici. Sul significato di questa frase si è ampiamente discusso in svariate sedi e con il contributo di autorevoli magistrati: la lettura più diffusa, che ha guidato l’azione di molti Servizi di Prevenzione, ha equiparato le soluzioni più sicure con quelle già esistenti sul mercato e quindi già commercializzate. In effetti l’evoluzione tecnica consente quasi sempre, attraverso studi di progettazione specifici, di ridurre un rischio anche di poco, indipendentemente da una valutazione reale del rapporto costi-benefici di un intervento. Tale interpretazione é coerente con quanto previsto dalle normative sulla sicurezza del lavoro, in particolare per quanto riguarda l’obbligo dei progettisti delle macchine di minimizzare il rischio, e l’obbligo dei datori di lavoro a privilegiare al momento dell’acquisto le macchine meno pericolose. In base a questa filosofia molti operatori della prevenzione hanno gestito interventi di comparto e l’ISPESL ha attivato la Banca Nazionale delle Soluzioni, proprio per censire e far conoscere gli interventi più significativi.
La sentenza della Corte di Cassazione, che riguarda l’applicazione delle norme sul rumore nell’ambiente di lavoro, precisa che l’obbligo di riduzione del rischio vale solo nei casi in cui ci si discosti dalle “misure tecniche generalmente applicate e dagli accorgimenti organizzativi e procedurali generalmente acquisiti”. Qualsiasi prescrizione che induca un contenimento del rischio con soluzioni già disponibili sul mercato, ma ancora scarsamente diffuse nella realtà tecnologica di un comparto, sembrerebbero quindi escluse. Poiché la filosofia del D.Lgs 277/91 non è certo lontana da quella del D.Lgs 626/94, tale ragionamento dal rumore può essere trasposto a tutti i rischi chimici, fisici e biologici. Basterebbe obbiettare che per raggiungere l’attuale livello di generalizzazione delle misure tecniche e comportamentali vi dovrà pur essere stato un inizio e poi un procedere della loro diffusione; o che la prevenzione non può certo attendere solo il “turnover” delle macchine, stimolato quasi sempre da esigenze produttive, nella speranza, e senza la certezza, che questo porti con sé anche qualche beneficio per la salute. Ma controbattere che l’impianto della normativa preventiva europea non può certo essere tradotto nella nostra lingua in una disattivazione per vie traverse della funzione stimolatrice dell’abbattimento dei rischi da parte dell’organo di vigilanza, non elimina certo il timore di contenziosi in merito. Nella sentenza si afferma inoltre che “il giudice, per valutare la perseguibilità di un non intervento, si debba chiedere non tanto se una soluzione disponibile faceva parte del patrimonio di conoscenze del settore, ma se essa era già accolta negli standard di produzione industriale o specificamente prescritta”. Ma per accogliere una soluzione negli standard di produzione industriale occorre attendere che essa sia inserita nella generalità di quella tipologia di macchine o è sufficiente che essa sia prodotta in serie e commercializzata, entrando così a far parte del variegato panorama tecnologico del mercato di quel comparto?
E’ evidente come la prima interpretazione rafforzerebbe la lettura riduttiva prima esposta, mentre la seconda tornerebbe a confermare il senso finora dato all’articolo 4.

APPENDICE 4: IL PIOMBO

Se non vengono superati i 40 microgrammi per metro cubo di PbA, o i 35 microgrammi per 100 cc di PbE, l’azienda deve garantire:

  • un’informazione specifica sui rischi, i danni e le misure di prevenzione
  • una regolare pulizia dei locali e degli impianti
  • ambienti non a rischio per sostare, fumare, mangiare e bere nelle pause del lavoro.Se vengono superati i 40 microgrammi per metro cubo di PbA, o i 35 microgrammi per 100 cc di PbE, l’azienda deve inoltre garantire:
  • il controllo periodico (trimestrale o annuale) della esposizione al piombo (PbA + PbE)
  • un’informazione completa e periodica su rischi, danni e misure di prevenzione
  • locali e impianti realizzati per garantirne la facile pulizia e manutenzione
  • un’impiego limitato dei composti al piombo e misure che riducano al minimo il numero di lavoratori esposti
  • misure di protezione collettive (per esempio aspirazioni) ed individuali (indumenti da lavoro, mezzi di protezione delle vie respiratorie ecc.)
  • servizi sanitari adeguati, provvisti di docce
  • armadietti a doppio scomparto (pulito-sporco) ed un servizio di lavaggio degli indumenti di lavoro a carico dell’azienda
  • gli accertamenti sanitari preventivi e periodici (trimestrali, semestrali o annuali)
  • la compilazione del registro degli esposti al rischio (che sarà trasmesso all’USL).

Misure immediate di bonifica sono richieste al superamento di 150 microgrammi per metro cubo di PbA, che deve essere tempestivamente segnalato ai lavoratori ed alla USL, o al superamento di 60 microgrammi per 100 cc di PbE. Il superamento di 70 microgrammi per 100 cc impone l’allontanamento temporaneo del lavoratore dall’esposizione. Per le donne in età fertile, è previsto l’allontanamento dalla esposizione se la PbE supera i 40 microgrammi per 100 cc. La sostituzione dei prodotti a base di piombo comporta notevoli costi. Ad esempio, i pigmenti organici, necessari per dare alle vernici la colorazione gialla, costano tre volte di più di quelli a base di piombo. La norma europea EN 71 sulla sicurezza dei giocattoli, non proibisce l’impiego di vernici contenenti piombo, purché la pellicola essiccata non sia solubile in ambiente acido (in modo da evitare i rischi di assorbimento tramite la saliva).
Il DM 21/3/73, riguardante le sostanze a contatto con gli alimenti, prevede una concentrazione di piombo nella vernice non superiore allo 0.01%, una concentrazione di arsenico non superiore allo 0.005%, mentre mercurio, bario, cadmio e selenio in forma solubile sono vietati.

APPENDICE 5: IL RUMORE. LINEE GUIDA PER L’INTERPRETAZIONE E L’APPLICAZIONE DELLA LEGGE 277
Valutazione del rischio

La valutazione dei livelli di rumorosità dev’essere effettuata in ogni attività lavorativa soggetta al rispetto delle disposizioni del Decreto Legislativo (presenza di lavoratori subordinati o ad essi equiparati). Se, dall’analisi del ciclo produttivo e della letteratura disponibile, il datore di lavoro può fondatamente presumere che per nessun lavoratore sia superato il livello di esposizione personale quotidiana (ovvero di quella settimanale media, se l’esposizione è variabile) di 80 dBA, la valutazione non prevede necessariamente l’esecuzione di misure di rumore. In tale caso il datore di lavoro si limita a redigere un rapporto, datato e firmato, che tiene a disposizione dell’organo di vigilanza. Nel rapporto il datore di lavoro indica gli elementi che hanno concorso alla formulazione della valutazione stessa (analisi accurata del ciclo produttivo, macchine e attrezzature, condizioni di lavoro in cui tale valutazione è stata effettuata, disponibilità di misure in situazioni confrontabili, bibliografia, consulenze etc.). In tutti gli altri casi (superamento del livello di esposizione personale quotidiana, di quella settimanale media, se l’esposizione è variabile, di 80 dBA) la valutazione dovrà essere integrata da misure di rumore eseguite da personale competente nel rispetto dei metodi indicati nell’allegato VI del D.L. I risultati delle misure, unitamente alle modalità con cui le stesse sono state eseguite ed alle caratteristiche della strumentazione utilizzata, vengono riportati in un rapporto datato e firmato, redatto a cura del datore di lavoro e tenuto a disposizione dell’organo di vigilanza. Per ciascun lavoratore (o gruppo omogeneo di lavoratori) dovranno essere indicati i livelli di esposizione quotidiana personale, calcolati secondo le formule riportate all’art.39. Al fine di poter rappresentare le condizioni di lavoro cui la valutazione si riferisce, nel rapporto dovrà inoltre essere indicato quanto segue:

  • tipo e caratteristiche della produzione (prodotto finito e/o tipo di lavorazionieseguite; produzione in serie, per lotti, etc.)
  • schede specifiche di individuazione dei pericoli e di valutazione dei rischiposto all’ordine del giorno degli argomenti della riunione periodica di sicurezza prevista per il (indicare la data)
  • macchine e/o impianti presenti nell’ambiente di lavoro e loro tempo di utilizzo
  • indicazione della eventuale presenza di presidi di bonifica significativi per l’insonorizzazione di macchine o ambienti
  • numero di lavoratori occupati, numero di ore quotidiane o settimanali di esposizione a rumore
  • condizioni di lavoro nelle quali la valutazione è stata effettuata (numero di macchine operanti contemporaneamente, operazioni manuali rumorose e loro durata, tipo di materiali lavorati etc.); dette condizioni devono essere il più possibile rappresentative della situazione media di esercizio.
    Ogni modifica di lavorazione o di impianti, se in grado di influire in modo sostanziale sul rumore esistente, determina l’esigenza di realizzare una nuova valutazione. In caso di avvio di nuove attività, il datore di lavoro esegue la valutazione del rischio da rumore, con le modalità elencate, non prima di 90 giorni e non oltre 180 giorni dall’inizio dell’attività stessa. I lavoratori o i loro rappresentanti devono essere consultati in ordine alla programmazione e alla effettuazione della valutazione del rischio e successivamente informati sul rapporto conclusivo (art.42). Al fine di fornire elementi utili alla valutazione, le ASL metteranno a disposizione delle associazioni sindacali e imprenditoriali i dati di rumorosità ambientale dei comparti produttivi per i quali siano disponibili i risultati di indagini effettuate dalle Unità Operative Tutela della salute nei luoghi di lavoro.
Misure tecniche, organizzative, procedurali

L’art. 41, comma 1 così recita: “il datore di lavoro riduce al minimo, in relazione alle conoscenze acquisite in base al progresso tecnico, i rischi derivanti dall’esposizione a rumore mediante misure tecniche, organizzative e procedurali, concretamente attuabili, privilegiando gli interventi alla fonte.” L’articolo non indica specificatamente il livello di esposizione a cui si applicano le misure sopra indicate, ma dalla struttura di tutto il Decreto e soprattutto dal dettato dell’art. 42, comma 1 che sancisce: “nelle attività che comportano un valore dell’esposizione personale di un lavoratore a rumore superiore a 80 dBA, il datore di lavoro provvede a che i lavoratori, ovvero i loro rappresentanti, vengano informati su: a)… b) le misure adottate in applicazione delle presenti norme; …”, si evince che sicuramente al di sopra della soglia di esposizione a 80 dBA si applica l’art. 41, comma 1 (senza per questo escludere interventi anche al di sotto degli 80 dBA qualora concretamente attuabili).
Per quanto riguarda la definizione dell’ espressione “concretamente attuabili” appare congrua al dettato costituzionale e coerente con la legislazione vigente la associazione del dettato dell’articolo a quanto previsto dal Codice Civile, art. 2087 (l’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro). A questo proposito si ritiene di evidenziare la necessità che l’imprenditore, anche per mezzo delle proprie associazioni di categoria, acquisisca documentazione in campo nazionale e internazionale sulle realizzazioni tecniche di provvedimenti a difesa della salute dei lavoratori nelle specifiche lavorazioni.
Presso il dipartimento di prevenzione verrà attivata, a cura delle Unità Operative Tutela della salute nei luoghi di lavoro, una raccolta sistematica di documentazione utile ai fini di individuare i possibili interventi di bonifica per le lavorazioni e le macchine di più comune riscontro nel territorio e con riferimento ai risultati riscontrati nelle indagini svolte.
Infine non va dimenticato che le misure indicate dal legislatore non sono solo quelle tecniche (di cui già ai provvedimenti consigliati dalla tecnica dell’art. 24 DPR 303/56), ma anche quelle organizzative e procedurali, la cui chiamata in causa costituisce una novità nell’ordinamento nazionale.
Ferma restando l’opportunità di privilegiare comunque gli interventi sulla sorgente del rumore (meno aleatori e più facilmente controllabili rispetto alle altre misure), la possibilità di affiancare anche modifiche procedurali e/o organizzative agli interventi tecnici fornisce ulteriori strumenti per il contenimento dell’esposizione, la cui importanza non va trascurata in molte situazioni difficilmente modificabili per l’aspetto impiantistico.

Procedure previste nel caso di un’esposizione personale quotidiana (o settimanale media) compresa tra 80 e 85 dBA

Il datore di lavoro deve eseguire i seguenti compiti:

  • redige il rapporto sulla valutazione effettuata e lo tiene a disposizione dell’organo di vigilanza (art. 40)
  • verifica la possibilità di attuare misure tecniche, organizzative, procedurali atte a ridurre i rischi derivanti dall’esposizione a rumore, privilegiando gli interventi alla fonte (art. 41, comma 1); le disposizioni aziendali e le norme previste devono essere fatte rispettare, ferma restando la verifica della loro applicabilità (art. 5, comma 1 punto f)
  • informa i lavoratori, ovvero i loro rappresentanti, in merito ai rischi per l’udito, le misure adottate, le misure di protezione che i lavoratori devono utilizzare, la funzione e l’uso dei mezzi individuali di protezione, il risultato e il significato della valutazione effettuata (art. 42, comma 1, punti a-b-c-d-f)
  • fornisce analoga informazione ai lavoratori autonomi e/o titolari di imprese incaricate a qualsiasi titolo di prestare la propria opera nell’ambito aziendale; coopera con i titolari al fine di coordinare gli interventi di protezione dei lavoratori (art. 5, commi 2-3-4)
  • provvede, qualora i lavoratori ne facciano richiesta, a che vengano sottoposti a visita medica preventiva e periodica, previa conferma dell’opportunità da parte del medico competente (art. 44, comma 4) e verifica che il medico rispetti gli adempimenti previsti (art. 5, comma 1, punto g); in questo caso provvede inoltre ad informare i lavoratori, ovvero i loro rappresentanti, circa il significato e il ruolo del controllo sanitario tramite il medico competente (art. 42, comma 1, punto e), a fornire al medico competente una breve relazione sul ciclo produttivo e sugli agenti ad esso inerenti (art.5, comma 1, punto g), a fornire al medico competente i risultati della valutazione di rumore effettuata; infine acquisisce firma per presa visione ed eventuale parere di competenza del medico stesso in calce al rapporto redatto ai sensi dell’art. 40 (art. 7, comma 6)

è utile e opportuno che anche ai lavoratori con esposizione personale quotidiana pari o inferiore a 85 dBA venga data una dotazione adeguata di mezzi di protezione personale, pur non essendo previsto uno specifico obbligo per il datore di lavoro (art. 43).

Procedure previste nel caso di un’esposizione personale quotidiana (o settimanale media) compresa tra 85 e 90 dBA

Il datore di lavoro deve eseguire i seguenti compiti:

  • redige il rapporto sulla valutazione effettuata e lo tiene a disposizione dell’organo di vigilanza (art. 40)
  • verifica la possibilità di attuare misure tecniche, organizzative, procedurali atte a ridurre i rischi derivanti dall’esposizione a rumore, privilegiando gli interventi alla fonte (art. 41, comma 1); le disposizioni aziendali e le norme previste devono essere fatte rispettare, ferma restando la verifica della loro applicabilità (art. 5, comma 1 punto f)
  • informa i lavoratori, ovvero i loro rappresentanti, in merito ai rischi per l’udito, le misure adottate, le misure di protezione che i lavoratori devono utilizzare, la funzione e l’uso dei mezzi individuali di protezione, il risultato e il significato della valutazione effettuata (art. 42, comma 1, punti a-b-c-d-f)
  • provvede a un’adeguata formazione dei lavoratori in merito all’uso corretto dei mezzi individuali di protezione dell’udito, all’uso corretto di macchine, utensili, apparecchiature che, utilizzati in modo continuativo, producono un’esposizione quotidiana personale pari o superiore a 85 dBA (art. 42, comma 2)
  • fornisce analoga informazione ai lavoratori autonomi e/o titolari di imprese incaricate a qualsiasi titolo di prestare la propria opera nell’ambito aziendale; coopera con questi al fine di coordinare gli interventi di protezione dei lavoratori (art. 5, commi 2-3-4)
  • provvede ad informare i lavoratori, ovvero i loro rappresentanti, circa il significato e il ruolo del controllo sanitario, tramite il medico competente (art. 42, comma 1 punto e)
  • fornisce al medico competente una breve relazione sul ciclo produttivo e sugli agenti ad esso inerenti (art. 5, comma 1, punto g)
  • fornisce al medico competente i risultati della valutazione di rumore effettuata; acquisisce firma per presa visione ed eventuale parere di competenza del medico stesso in calce al rapporto redatto ai sensi dell’art. 40 (art. 7, comma 6)
  • verifica che il medico competente rispetti gli adempimenti previsti; in particolare provvede a che i lavoratori con esposizione quotidiana personale superiore a 85 dBA vengano sottoposti a visita medica preventiva e periodica e a controllo audiologico come precisato nel D.L. (art. 5, comma 1, punto g; art. 44)
  • fornisce i mezzi di protezione personale dell’udito ai lavoratori; i mezzi saranno adeguati e adattati al singolo lavoratore e alle sue condizioni di lavoro, di sicurezza e di salute; sulla scelta dei mezzi consulta i lavoratori, ovvero i loro rappresentanti (art. 43); la consegna dei mezzi di protezione individuale viene registrata, indicando tipo e quantità dei mezzi forniti e la data di consegna
  • esige l’uso appropriato dei mezzi individuali di protezione da parte dei lavoratori, accertandosi che vi siano le condizioni per il rispetto di tali disposizioni (art. 5, comma 1, punto f).
    Procedure previste nel caso di un’esposizione personale quotidiana (o settimanale media) superiore a 90 dBA

    Qualora, effettuata la valutazione, il datore di lavoro riscontri anche per un solo lavoratore un’esposizione quotidiana personale al rumore superiore a 90 dBA, o un valore della pressione acustica istantanea non ponderata superiore a 140 dB (200 Pa) e non riesca entro 30 giorni dall’accertamento ad abbassare tale limite con l’adozione delle già citate misure tecniche, organizzative e procedurali, deve darne comunicazione all’organo di vigilanza, informando i lavoratori o i loro rappresentanti.
    La comunicazione all’organo di vigilanza dovrà essere corredata da: copia del rapporto redatto ai sensi dell’art. 40; indicazione chiara e articolata di tutte le misure prese a seguito della verifica del superamento del limite sopraindicato; piano di bonifica con l’indicazione delle specifiche misure tecniche, organizzative o procedurali, che si intendono ulteriormente adottare per ridurre la rumorosità e i relativi tempi di realizzazione.
    Il datore di lavoro, oltre a quanto previsto nel caso di un’esposizione personale superiore a 85 dBA, provvede altresì a:

  • perimetrare i luoghi di lavoro in cui è presente un livello di rumore superiore a 90 dBA, oppure un livello della pressione acustica istantanea non ponderata superiore a 140 dB (200 Pa), predisponendo una segnaletica appropriata (indicazione di pericolo, obbligo all’uso di mezzi di protezione personale, divieto di accesso per i non addetti), come previsto dall’art. 41, 2 e 3 comma; il datore di lavoro è tenuto ad effettuare, ogni qualvolta è possibile, in luoghi separati le lavorazioni rumorose, allo scopo di non esporvi senza necessità i lavoratori addetti ad altre lavorazioni (art. 19, DPR 303/56)

predisporre il registro degli esposti, inviandone copia sia all’ISPESL che all’organo di vigilanza presso la USSL di competenza (art. 49). In attesa di definizione ministeriale dei modelli di registro da adottarsi, si dovrà comunque prevedere la registrazione dei seguenti dati: nominativo, data di nascita, data di assunzione, breve descrizione della mansione, livello equivalente misurato, data della valutazione; il registro dovrà prevedere spazi di aggiornamento per variazioni di mansione e le relative misure di esposizione.

Note all’allegato VI: criteri per la misurazione del rumore

La valutazione del rumore deve essere eseguita avvalendosi di strumentazione dotata delle caratteristiche richieste all’allegato VI del D.L.. Il livello di esposizione personale quotidiana deve essere calcolato utilizzando le formule di cui all’art. 39. E’ opportuno che le posizioni in cui sono state eseguite le misure vengano riportate in planimetria e che vengano indicati i risultati di ciascuna misurazione di rumore e i tempi di permanenza dell’operatore (o gruppi omogenei) nelle varie posizioni.
Nel caso di esposizioni personali variabili (spostamento del lavoratore nel reparto o impianto, variazione nel tempo del livello di rumorosità della singola posizione di lavoro), si possono utilizzare anche i dosimetri personali, purchè la durata della misura sia significativa.
I dosimetri personali impiegati potranno essere anche di classe 2 per i seguenti motivi:

  • il D.L. non dà esplicite indicazioni in merito
  • l’impiego di dosimetri, anche se di classe 1, non può comunque costituire una misura precisa del livello di esposizione per le numerose variabili ed interferenze connesse a questo tipo di rilevazione (riverbero del corpo, comportamento indotto del lavoratore che indossa lo strumento, impossibilità di controllo continuo da parte dell’incaricato delle misure).Il dato fornito dal dosimetro serve quindi soprattutto per collocare le varie esposizioni e/o mansioni nelle fasce previste dal D.L. ( 80; 80-85; 85-90; 90 dB (A) Leq 8h), con un intervallo di variazione, cioé di imprecisione stimata di +/-2dB.Si devono comunque utilizzare tutte le procedure per garantire una corrispondenza tra il livello di esposizione e la sua misura.
    Appendice 6: periodicità visite mediche

    ESTRATTO DALLA TABELLA DELLE LAVORAZIONI PER LE QUALI VIGE L’OBBLIGO DELLE VISITE MEDICHE PREVENTIVE E PERIODICHE (ART.33 DEL DECRETO DPR 303/1956)

    manuale sicurezza

 

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