Le risposte alla nostra inchiesta sull’emergenza “Covid 19” sulla scelta di chiudere le fabbriche di vernici. Gli operatori del settore si interrogano sul presente e il futuro della produzione e distribuzione.
Luca Broggi, Icro Coatings
Aprire o chiudere? Una scelta obbligata
Egr, Direttore, ho letto con attenzione il suo articolo, come sempre molto interessante, e mi permetto di riportarle la mia personale esperienza della vicenda Covid 19 nella nostra fabbrica di vernici.
Come ben sa, la nostra azienda ha sede nella provincia bergamasca, quindi nel pieno centro di uno dei più grandi focolai epidemici al mondo. Quello che ho visto nei giorni scorsi, mi ha fatto capire che la famiglia e gli affetti vengono prima di tutto e la salvaguardia delle persone e della vita umana è un concetto che non si può barattare.
Scegliere la chiusura totale o parziale spesso non è una scelta libera, perché, mi creda, se fosse stata una scelta possibile nessuno più del mio amministratore l’avrebbe fatta, visto la situazione in cui nostro malgrado ci siamo trovati. Spesso la scelta è obbligata, perché chiudere un mese per un’azienda come la nostra, con una tipologia di prodotti “hi-tech”, spesso vincolati da contratti di produzione, equivale a metterla a rischio chiusura.
Siamo rimasti così aperti, lavorando al 25% della nostra forza lavoro, tra smart working e cassa integrazione “Covid”, prestando attenzione a tutte le norme possibili di sicurezza e rimanendo chiusi nella settimana dopo Pasqua.
La fabbrica è alla base della comunità
Ci siamo alternati nel cercare di coprire i buchi che giorno dopo giorno si creavano perché tutti, chi prima o chi dopo, hanno avuto un raffreddore, un po’ di tosse, una sensazione di stanchezza o semplicemente paura, quella che ti porti a casa perché lì ci sono le persone alle quali vuoi più bene e non vuoi assolutamente esporle.
Ho visto l’assistenza tecnica andare in produzione a fare i colori, la R&D a fare collaudi, i collaudi andare in fabbrica a produrre o il direttore di stabilimento diventare mulettista.
Ho visto l’azienda con la A maiuscola, quella fatta da uomini e non da moduli di carta da compilare per dar ragione ad una burocrazia aziendale che non ha ragione di esistere. Nella grande difficoltà ho visto la nostra parte migliore, l’identità e la ragione dell’esistenza di una comunità…sì perché anche le nostre aziende lo sono e il senso di appartenenza deve esserne alla base per mantenerle vive.
Ecco perché non me la sento di criticare o avvalorare le scelte di nessuno sulla chiusura o apertura, perché come è stato nel nostro caso, rimanere aperti è stata una bella esperienza di vita.