Un dubbio “estremamente preoccupante”: Il legislatore italiano conosce le sostanze pericolose? Sentiamo il parere della loro portavoce europea sugli effetti delle SVHC sulle emissioni in atmosfera
Egregio Direttore
innanzitutto mi presento: sono la portavoce delle SVHC. Lei sicuramente conosce il significato dell’acronimo, tuttavia, per i non addetti, sta per Substance of Very High Concerne, che in italiano possiamo tradurre in “sostanze estremamente preoccupanti”.
La dizione è un po’ generica ma, glielo posso assicurare, siamo identificate sulla base di alcune nostre precise proprietà, piuttosto critiche e, ahimè, non positive per la salute umana e per l’ambiente.
CHI DECIDE LA PERICOLOSITA’?
Lei si chiederà: ma chi si è preso la briga di decidere quali sostanze sono particolarmente pericolose, e poi, in base a quali criteri? Andiamo con ordine: la Comunità Europea, quasi tre lustri or sono e precisamente nel 2006, ha emanato il Regolamento Reach (altro acronimo che sta per “Registration, Evaluation, Authorisation and restriction of CHemicals“) e, in seguito, lo ha più volte aggiornato (Reg. 1907/2006/CE); le ricordo che tale Regolamento (il quale si applica direttamente a tutti gli stati membri senza bisogno di essere recepito con provvedimento nazionale) identifica le SVHC sulla base di criteri che di seguito val la pena di richiamare (art.57):
– sostanze classificate come cancerogene, mutagene o tossiche per la riproduzione (CMR), classificate nelle categorie 1A o 1B ai sensi del Regolamento CLP (uffa! Ancora un acronimo, che sta per Classification, Labelling and Packaging, che tradotto suona come “Classificazione, Etichettatura e Imballaggio”, si intende di sostanze chimiche o loro miscele);
– sostanze che sono persistenti, bioaccumulabili e tossiche (PBT) o molto persistenti, molto bioaccumulabili (vPvB), così definite dal Reach (vedi Allegato XIII e relativi criteri);
– sostanze individuate caso per caso, che destano un livello di preoccupazione equivalente alle sostanze CMR o PBT/vPvB (ad esempio gli interferenti endocrini).
CHE FINE FANNO LE SVHC?
Qual è il destino di noi SVHC ? Caro direttore, lo può immaginare: il severo Regolamento Reach prevede che le povere SVHC vengano inserite in un elenco di sostanze candidate all’autorizzazione e da qui, se ritenute prioritarie, vengano poi incluse nell’Allegato XIV delle sostanze soggette ad autorizzazione, affinchè “siano progressivamente sostituite da idonee sostanze o tecnologie alternative, ove queste siano economicamente e tecnicamente valide”.
Ormai da anni l’elenco delle SVHC viene periodicamente aggiornato con cadenza usualmente semestrale; pensi che oggi le sostanze in elenco sono 209 (una bella compagnia)! Gli arcigni funzionari dell’ECHA, tramite una procedura specifica, raccomandano alla Commissione Europea l’inclusione di alcune di queste sostanze nell’Allegato XIV del REACH. Egregio direttore, ancora una volta mi devo scusare per l’ennesimo acronimo: ECHA sta per European Chemical Agency, insomma quell’agenzia, che ha sede a Helsinky, istituita allo scopo di gestire gli adempimenti conseguenti l’applicazione del Regolamento Reach.
VINCOLI DI PRODUZIONE E REGISTRAZIONE
Si diceva sopra dell’inserimento delle SVHC nell’Allegato XIV del Reach: ma cosa comporta ciò? Come lei sicuramente saprà, egregio direttore, in base al Reach tutte le sostanze chimiche sono state “registrate”, il che vuol dire che per le stesse sono stati approntati e aggiornati specifici dossier, che riportano le loro caratteristiche chimico fisiche, tossicologiche, di impatto sulla salute e sull’ambiente, a tutela di cittadini e degli utilizzatori in genere. Il processo di registrazione, condotto per step dal 2010 al 2018, è ormai concluso, per cui ogni sostanza chimica (trattata in quantità superiori a 1 ton/anno) può essere prodotta o importata nel territorio comunitario solo se è stata registrata presso l’agenzia ECHA.
VINCOLI DI AUTORIZZAZIONE
Per le sostanze particolarmente pericolose è stato introdotto un ulteriore e più stringente vincolo, che consiste in un’autorizzazione all’uso delle stesse; l’autorizzazione, rilasciata dall’ECHA, è richiesta per le sostanze inserite nell’Allegato XIV del Reach, anch’esso periodicamente aggiornato dall’agenzia europea, pescando tra le SVHC. Il percorso autorizzativo è piuttosto oneroso, dura circa un paio d’anni, viene richiesto dal singolo operatore interessato (con copertura della propria filiera) e si conclude con il rilascio di un provvedimento (l’autorizzazione) che stabilisce gli usi e le specifiche cautele da rispettare, nonché una data di validità dell’autorizzazione (che, a onor del vero, può anche non essere concessa).
IL CASO DELLA TRIELINA
Lei caro direttore, dovrebbe conoscere tal iter, in quanto è stato applicato qualche anno fa al tricolroetilene (volgarmente chiamato trielina), utilizzato un tempo anche nelle operazioni di sgrassaggio dei metalli, come ben sa. Avrà sicuramente verificato che, dopo l’inserimento nell’Allegato XIV il tricloroetilene è stato praticamente bandito dallo sgrassaggio dei metalli (del resto è il nostro destino, come recita l’art. 55 del Reach). Va bene, ce ne faremo una ragione, noi povere SVHC ci trasferiremo nei paesi extra UE.
IL DIAVOLO STA NEI DETTAGLI: LE SOSTANZE DA SOSTITUIRE
Ma ora si chiederà: dopo tutta questa premessa, forse un po’ troppo didattica, dove vuole andare a parare la portavoce delle SVHC? Non abbia fretta, glielo spiego subito. Mi è stato riferito che, nel bel mezzo della scorsa estate, nella vostra Italia è stata aggiornata la parte quinta del Testo Unico Ambientale (D.Lgs. 152/2006), cioè quella che si preoccupa di tutela dell’aria e riduzione delle emissioni in atmosfera. Tra le novità introdotte qualcosa riguarda anche le SVHC e ciò, a una prima superficiale lettura, ci ha lusingato. Ma poi, come si dice, il diavolo sta nei dettagli! Secondo l’art. 271 comma 7 bis (introdotto ex novo) le SVHC “devono essere sostituite non appena tecnicamente ed economicamente possibile nei cicli produttivi da cui originano emissioni delle sostanze stesse”; questa, a onor del verso, non è proprio una novità: era già presente nel testo unico ambientale qualcosa del genere, si veda in proposito l’Allegato III alla parte quinta del 152/2006, che disciplina le emissioni di solventi e che già prevede, in linea di principio, la sostituzione delle sostanze cancerogene, mutagene e tossiche per la riproduzione delle categorie 1A ed 1B.
La rivoluzionaria novità è invece la seguente: “Ogni cinque anni, a decorrere dalla data di rilascio o di rinnovo dell’autorizzazione i gestori degli stabilimenti o delle installazioni in cui le sostanze previste dal presente comma sono utilizzate nei cicli produttivi da cui originano le emissioni inviano all’autorità competente una relazione con la quale si analizza la disponibilità di alternative, se ne considerano i rischi e si esamina la fattibilità tecnica ed economica della sostituzione delle predette sostanze. Sulla base della relazione di cui al precedente periodo, l’autorità competente può richiedere la presentazione di una domanda di aggiornamento o di rinnovo dell’autorizzazione”.
QUANTE SONO LE AUTORITA’ COMPETENTI? CIRCA 100!!!
Ma non è finita qui: nelle norme transitorie si prevede inoltre che “In caso di gestori di stabilimenti o di installazioni in esercizio alla data di entrata in vigore del presente decreto in cui le sostanze o le miscele previste dall’articolo 271, comma 7-bis, del decreto legislativo n. 152 del 2006 sono utilizzate nei cicli produttivi da cui originano le emissioni, la relazione ivi prevista è inviata all’autorità competente entro un anno dalla data di entrata in vigore del presente decreto. In caso di omessa presentazione della relazione nei termini di applica la sanzione prevista dall’articolo 279, comma 3, del decreto legislativo n. 152 del 2006”. La prosa, onestamente, non è particolarmente lineare, tuttavia il significato è preciso: entro il 28 agosto 2021 tanti signori “gestori” dovranno predisporre la suddetta relazione da sottoporre al giudizio delle autorità competenti.
Questa innovazione, che forse a qualcuno potrà sembrare ragionevole, le assicuro che è invece devastante. Mi sono informata e ho scoperto che, in Italia, l’autorità competente corrisponde quasi sempre alla Provincia (in qualche caso alla Città Metropolitana); orbene: quante sono le Province / Città Metropolitane lungo lo stivale? Sembrerebbe siano poco più di un centinaio, il che vuol dire almeno duecento tecnici (diciamo un tecnico istruttore e il suo capo) con i quali, in qualità di portavoce delle SVHC, dovrei confrontarmi e spiegare il perché e il percome la tal sostanza può essere o meno ragionevolmente sostituita, con quali effetti economici, sociali e, ovviamente, ambientali.
QUANTE SARANNO LE DIVERSE INTERPRETAZIONI?
Lei se li immagina, caro direttore, i solerti funzionari delle autorità competenti che si occupano di solito di emissioni in atmosfera (camini), d’emblée chiamati ad esprimersi sul ciclo di vita di una SVHC, con tutte le implicazioni che ciò comporta ? Io me li immagino e, mi creda, non sono per niente serena. Immagino infatti che ciascuna autorità competente decida un po’ a modo suo, con buona pace dei tanto sbandierati principi comunitari.
Le ricordo inoltre che a queste autorità competenti si affiancano poi quelle che si occupano del controllo degli adempimenti che discendono dal Reach; queste non so quante siano ma, almeno in teoria, dovrebbero essere un po’ più preparate in materia e, comunque, si sommeranno alle altre, temo peraltro senza coordinarsi vicendevolmente.
UN DIFFICILE TOUR NELLE PROVINCE ITALIANE
Insomma, il Legislatore italiano (che non ho capito chi ben sia, ma che mi piacerebbe conoscere) non aveva proprio altro a cui pensare negli scorsi mesi estivi ? Non gli bastava poter applicare un Regolamento Europeo in materia di sostanze chimiche, ma ha dovuto integrare il tutto con una aggiuntiva prescrizione che riguarda solo le emissioni in atmosfera? Tra l’altro non si capisce perché proprio le emissioni e non gli scarichi idrici, i rifiuti, o altro!
Caro direttore, io sono sinceramente preoccupata: mi dovrò inevitabilmente organizzare, non potrò più svolgere il mio ruolo singolarmente, dovrò circondarmi di uno staff di colleghe che poi si prenderanno carico di fare il tour delle “autorità competenti italiche”, mentre io continuerò ad avere come interlocutore l’ECHA quando, di volta in volta, saranno inserite le SVHC nell’ormai famoso Allegato XIV.
Spero proprio che altri stati europei non seguano l’Italia nella gara di “chi è più bravo a fare le cose che spettano ad altri”: sarebbe veramente un grosso problema e, come si dice, l’entropia andrebbe alle stelle.
SVHC
La portavoce