Rifiuti discarica

Quali sono le competenze degli enti locali nella definizione dei limiti di emissione e delle migliori tecnologie disponibili?

PAOLO DELL’ANNO
DOCENTE DI DIRITTO AMBIENTALE DELLA
SCUOLA SUPERIORE DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

LA RIFORMA COSTITUZIONALE

Dopo l’8 novembre 2001 è entrata in vigore una riforma costituzionale che ha modificato il capo 5° della nostra Costituzione (articoli dal 117 in poi), con una rilevante conseguenza per quanto riguarda il ruolo dello Stato, delle Regioni e degli Enti locali in materia di ambiente. Prima dell’8 novembre vigevano i principi fissati dal Decreto Legislativo 112 del ’98, attuativo della Legge 59 del 1997, la cosiddetta “Bassanini 1”, che aveva lo scopo dichiarato di attuare il cosiddetto “federalismo amministrativo”, vale a dire un federalismo attenuato a costituzione invariata. Con la riforma della Costituzione, per la prima volta nella nostra storia giuridica, viene menzionato l’ambiente. In passato c’erano state molte richieste affinchè l’ambiente venisse assunto a valore costituzionale, ma le riforme in quest’ambito sono difficili da realizzare, per cui le Regioni potevano sostenere che l’ambiente facesse parte di una serie di attribuzioni già di loro competenza (Sanità, Foreste, Cacciae Pesca, Urbanistica, Governo del Territorio, Acque etc.).
Si riteneva che l’ambiente fosse come una piazza, un crocevia dove confluiscono tutta una serie di strade, tutte di competenza locale, per cui le Regioni avevano titolo per operare in questo settore con i poteri che vengono definiti di “legislazione concorrente”: lo Stato adotta “leggi quadro” nelle quali fissa i principi generali della materia e le Regioni adattano questi principi generali al proprio territorio, alle esigenze della propria popolazione e del proprio sistema economico e sociale.
In base a questo principio sarebbe anche perfettamente legittimo che ogni Regione emanasse normative differenti, in quanto si attuerebbe un precetto generale adattandolo alle esigenze concrete. Questa tesi in realtà non è mai stata accolta in termini così estremi dalla Corte Costituzionale, che ha ad esempio sempre affermato che l’Urbanistica, il Paesaggio e la Sanità sono materie distinte e distanti dall’Ambiente, che ha una sua specificità (anche se il requisito della specificità non è mai stato precisato).
Questa comunque è la costruzione dottrinale che, con molti difetti, si era realizzata con la Legge 59 del ’97, nella quale la competenza in materia ambientale, non essendo riservata allo Stato, era implicitamente ed automaticamente attribuita alle Regioni.
Il Decreto Legislativo 112, all’articolo che si riferisce all’inquinamento atmosferico, attua questo principio generale, riconoscendo alle Regioni un’ampia potestà legislativa e amministrativa nel settore dell’inquinamento atmosferico. Qual era il difetto principale di questo sistema interpretativo? Che la tutela dell’ambiente non può essere trattata come si tratta l’urbanistica.
Ad esempio il problema dei composti organici volatili non riguarda solo le persone immediatamente vicine alla fonte emittente, che potranno essere disturbate presumibilmente nelle loro capacità olfattive, in quanto, come dice la Direttiva 13/99, i COV contribuiscono all’inquinamento transfrontaliero e possono determinare la creazione di composti ossidanti precursori dell’ozono e di altre sostanze inquinanti. Si tratta in sostanza di una problematica che non è circoscritta a un ambito territoriale limitato: questa è la caratteristica specifica dell’ambiente.

I POTERI LOCALI

La tutela dell’ambiente non può essere effettuata a livello di circoscrizione amministrativa, perché l’inquinamento ha una pessima abitudine: non rispetta nemmeno le frontiere meglio sorvegliate, come molti di noi hanno dovuto prendere atto quando, essendo ancora in piena funzione l’impero sovietico, l’inquinamento di Chernobyl è uscito senza particolari difficoltà dai confini nazionali, per cui doganieri, poliziotti e militari non hanno impedito che arrivasse perfino in Italia, cosicchè abbiamo dovuto bandire dalla nostra tavola le verdure a foglia larga per un certo arco di tempo.
L’ambiente deve essere valutato in termini globali secondo la sua rilevanza nazionale, che è, tra l’altro, la giustificazione per la quale l’Unione Europa si occupa di ambiente.
L’U.E. ha introdotto nell’Atto Unico Europeo dell’’85 e poi nel trattato di Maastrich del ’92 agli artt. 130 r) s) t), poi modificati negli articoli 172 e seguenti del Trattato di Amsterdam, l’ambiente come problema le cui dimensioni e i cui effetti non riguardanoe non possono essere fronteggiati dai soli Stati membri, ma impongono l’azione dell’U.E..
Se così è allora la tutela dell’ambiente è connotata da un interesse nazionale. Un anno e mezzo, fa nell’ambito di un convegno organizzato dal TAR Lazio, ho presentato una relazione dal titolo “L’interesse ambientale è ontologicamente nazionale”: vale a dire l’interesse ambientale non può che sollecitare una diretta azione dell’U.E. e l’attuazione da parte dello Stato membro.
La conseguenza di questo ragionamento è evidente: si tratta di un problema di carattere nazionale, anzi addirittura comunitario, tanto che l’U.E. fissa Direttive che impongono agli Stati membri un “obbligo di risultato”, indipendentemente dai mezzi da usare, quindi non dice agli Stati membri come devono conseguire determinati risultati, limitandosi a enunciare gli obiettivi.
Questa tesi è, come dire, “di scuola”, ma non ha nessun fondamento pratico, perché se io dicessi che stipulo un contratto per consegnare un mobile a New York entro 48 ore è vero che ho stabilito un “obbligo di risultato”, ma evidentemente per raggiungere l’obbiettivo potrà essere utilizzato solo un mezzo aereo: molte delle norme che sono contenute nelle Direttive comunitarie in realtà non ci danno soltanto un obbligo di risultato, ma ci impongono anche un obbligo di mezzi, cioè di interventi che devono essere realizzati.
L’U.E. fissa quindi i limiti delle emissioni, stabilisce tutta una rete di interventi, controlli, flussi di massa, piani nazionali, migliori tecniche disponibili, definizioni di impianti e così via, che devono essere attuati dagli Stati membri: è del tutto evidente che non c’è nessuno spazio da parte delle Regioni, meno che mai daparte delle Provincie, per differenziarsi rispetto agli obbiettivi che vengono posti dall’U.E..

I POTERI DELLO STATO

Dopo l’8 novembre 2001 non soltanto è stato “costituzionalizzato” il valore “ambiente”, ma è stato sancito il fatto che la tutela dell’ambiente e dell’ecosistema è oggetto di legislazione esclusiva dello Stato. Nell’ambito di una legge che intende realizzare in modo compiuto il federalismo in Italia, il legislatore costituzionale, nella sua infinita saggezza, ha stabilito che la tutela dell’ambiente non è competenza delle Regioni, nemmeno concorrente con quella dello Stato, ma competenza esclusiva dello Stato.
Eppure le Regioni continuano imperterrite, come se non fosse successo nulla, ad attribuirsi competenze in materia ambientale, in contrasto con la Costituzione, in quanto le norme costituzionali valgono anche retroattivamente. Quando è stata approvata la nostra Costituzione, nel 1948, sono automaticamente diventate illegittime tutte quelle norme contenute nella legislazione precedente, come ad esempio la legge istitutiva del CONI, che prevedeva che le attività di educazione fisica avessero lo scopo di migliore la razza italiana (nessuno aveva stabilito che cosa si intendesse per razza italica, ma questo è un altro argomento…)!
Non c’è stato nemmeno bisogno di dichiarare abrogata quella norma, perché l’articolo 3 della Costituzione l’ha immediatamente resa illegittima. Analogamente, se dobbiamo prendere sul serio il legislatore costituzionale, e ovviamente dobbiamo farlo se non vogliamo rischiare qualche denuncia penale, le Regioni non possono legiferare in materia ambientale.

LIMITI DI EMISSIONE E MIGLIORI TECNOLOGIE: UNA PREROGATIVA STATALE

Facciamo un esempio. Nel dpr 203/88 si dice che la fissazione dei valori limite di qualità dell’aria è riservata allo Stato, mentre i limiti di emissione, cioè quelli dell’impianto, sono fissati dalle Regioni all’interno di valori massimi e di valori minimi fissati anch’essi dallo Stato. E’evidente a chiunque che la possibilità da parte delle Regioni di differenziare la propria normativa dalla Regione vicina, per ragioni di concorrenza positiva o negativa, vale solo all’interno della “forchetta” fissata dallo Stato: se la forchetta non c’è, non si possono usare le mani per fissare limiti diversi da quelli fissati dalla legge nazionale. Lo stesso discorso vale per la migliore tecnologia disponibile. Se leggiamo il dpr 203/88 ed il Decreto Legislativo 112 del ‘98, quello attuativo della legge sul federalismo amministrativo, che era impostato sul principio della “competenza concorrente” fra Stato e Regioni in materia di tutela dell’ambiente, troviamo che la definizione delle migliori tecnologie disponibili è riservata allo Stato. E se era riservata allo Stato quando c’era una potestà concorrente fra lo Stato e Regioni, ovviamente è a maggior ragione riservata allo Stato quando l’attività legislativa in materia di ambiente è esclusivamente riservata allo Stato.
Mi rendo conto che sto rompendo un intero negozio di cristallerie, però basta prendere la Gazzetta Ufficiale che contiene la Legge Costituzionale del 2001 n.3, nella quale appunto viene indicato che non soltanto la tutela dell’ambiente è oggetto di legislazione esclusiva dello Stato (e quindi, per la simmetria fra potere legislativo e potere amministrativo è riservata allo Stato l’attività amministrativa), ma viene escluso che nelle materie di legislazione esclusiva statale possano esserci regolamenti regionali, perché gli unici regolamenti devono essere quelli statali. Le leggi regionali possono restare in vigore e continuare a produrre i loro effetti solo come leggi “delegate”, ma esse devono essere rigorosamente conformi alla legge statale che ha stabilito la delega.

LE AUTORIZZAZIONI REGIONALI

Le Regioni che applicano le norme sull’inquinamento atmosferico non hanno emanato leggi regionali, in quanto vengono rilasciate singole autorizzazioni a singole aziende. Se una Regione o una Provincia applicano una linea guida (cioè un documento interno che ha solo valore amministrativo), come può essere contestata a livello legale un’autorizzazione che prescrive a una singola azienda limiti o tecnologie produttive e di abbattimento degli inquinanti difformi da quanto previsto dalle leggi statali?
Esiste un principio generale dell’ordinamento giuridico secondo il quale l’efficacia di un atto amministrativo (autorizzazioni, regolamenti ecc.) è garantita dalla presunzione di legittimità: gli atti amministrativi sono cioè efficaci come qualsiasi atto giuridico e hanno valore finchè non vengono contestati e non c’è il pronunciamento di un giudice o di un’autorità amministrativa superiore che ne accerta l’illegittimità e conseguentemente lo rende inefficace.
Nel caso delle autorizzazioni per le emissioni di solventi in atmosfera, l’eventuale contestazione può essere quindi sollevata solo dall’azienda utilizzatrice.

I poteri dello stato e delle regioni in campo ambientale – 19/12/2002
Quali sono le competenze degli enti locali nella definizione dei limiti di emissione e delle migliori tecnologie disponibili? Una relazione del Prof. P. Dell’Anno
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