Residui di vernici

Migliaia di tonnellate di contenitori pericolosi vengono smaltiti in modo scorretto. Le nuove norme in materia di rifiuti sono attualmente inapplicate per quanto riguarda gli imballi di sostanze pericolose: come vanno considerati i fusti che hanno contenuto vernici e diluenti?

A CURA DELLA REDAZIONE

TONNELLATE DI IMBALLI PERICOLOSI

Contenitori di fitofarmaci, imballi di vernici, colle, diluenti e sostanze chimiche di ogni tipo, costituiscono uno dei punti più confusi in materia di rifiuti. Finora si é spesso sorvolato sulla loro natura “giuridica” ai fini del loro trattamento e smaltimento. Nel settore dei prodotti vernicianti, ad esempio, il calcolo dei quantitativi in gioco, pur fatto in termini approssimativi, parte dal presupposto che il peso degli imballi rappresenti il 10% del peso dei prodotti in essi contenuti. Poiché la produzione di vernici (per tutti gli usi civili e industriali) é pari a circa un milione di tonnellate, il peso degli imballi é stimato in circa 100.000 tonnellate/anno. Attualmente la maggior parte di questi rifiuti viene smaltita impropriamente tra i rifiuti o in fonderia. Dato che qualcuno forse non ha ancora ben chiaro il quadro legislativo in materia, vale la pena di ricordarne gli elementi essenziali.

LE “TAVOLE” DELLA LEGGE

La Direttiva 91/689 CEE del 12/12/1991 relativa ai rifiuti recepita dall’Italia con il Decreto Legislativo n° 22 del 5/2/97, testualmente recita all’art.1 comma 4: “ai fini della presente Direttiva, si intendono per rifiuti pericolosi i rifiuti precisati in un elenco basato sugli allegati 1 e 2 della presente Direttiva. Tali rifiuti devono possedere almeno una delle caratteristiche elencate nell’allegato 3”. Le caratteristiche elencate nell’allegato 3 sono quelle espresse dai simboli di pericolosità che contrassegnano praticamente tutti i prodotti impiegati nella verniciatura: T+ (molto tossico), T (tossico), F+ (estremamente infiammabile), F (facilmente infiammabile), Xn (nocivo), Xi (irritante), C (corrosivo), N (pericoloso per l’ambiente o ecotossico), O (comburente). L’attribuzione delle caratteristiche di pericolo è effettuata secondo le disposizioni legislative relative alla classificazione sull’imballaggio e l’etichettatura delle sostanze pericolose: è sufficiente che ci sia uno dei simboli indicati e il rifiuto diventa pericoloso. Tutta questa “impalcatura legislativa” è stata confermata dal DL 389/97, che ha introdotto in Italia tre distinti allegati:
l’all. G, che elenca i tipi di rifiuti pericolosi in base alla loro natura o all’attività che li ha prodotti. Per alcuni di questi rifiuti la classificazione di “pericoloso” scatta però soltanto quando il rifiuto possiede le caratteristiche dei due allegati successivil’
all. I, che elenca i costituenti che rendono pericolosi i rifiuti (si tratta in pratica di una classificazione di pericolosità basata sulla composizione chimica)
l’all. H, che definisce le caratteristiche di pericolosità sulla base della classificazione prevista dalle norme europee sull’etichettatura e l’imballaggio delle sostanze e dei preparati pericolosi (corrosivi, tossici, nocivi, infiammabili ecc.).
In particolare segnaliamo il punto 36 dell’all. G-2, nel quale si specifica che sono considerati pericolosi i “recipienti contaminati che abbiano contenuto uno o più costituenti elencati nell’allegato H). Un’ulteriore conferma di tutto questo ragionamento si ricava dalla lettura del DM 5/2/98 che, quando descrive le “norme tecniche per il recupero di materia dai rifiuti non pericolosi”, esclude specificamente i “contenitori in metallo etichettati come pericolosi” (punto 3.5). Citiamo infine la “Transcodifica CIR-CER”, (DM 4/8/98 n° 372, pubblicata sul supplemento alla GU n° 252 del 28/10/98) nel quale si evidenzia, a pag. 171, la correlazione tra codice CIR H0022 (contenitori sporchi di solventi e/o inchiostri, vernici ecc) ed i relativi codici CER 0801 ( pitture e vernici).

QUANDO LA LATTA E’ CONTAMINATA?

Qui sta il nocciolo della questione. Con la precedente legislazione la pericolosità del rifiuto (cioè la sua classificazione come sostanza “tossico-nociva”) era legata alla qualità e alla quantità di prodotto chimico presente nella latta (o nelle morchie). Teoricamente quindi ogni azienda avrebbe dovuto fare l’analisi dei residui contenuti nelle diverse latte, misurare la concentrazione delle diverse sostanze e, a seconda dei risultati ottenuti, avrebbe potuto classificare il rifiuto come “speciale” o “tossico-nocivo”. Questa operazione in realtà veniva delegata agli smaltitori di rifiuti che, a secondo della loro “professionalità”, eseguivano le analisi su alcuni campioni di qualche partita, classificavano i bidoni e decidevano il prezzo del servizio in funzione di tale classificazione (spesso la classificazione veniva fatta per “analogia” con precedenti analisi di campioni simili, senza tenere in minimo conto che le latte dello stesso cliente potevano essere più o meno sporche, in funzione del diverso utilizzo dei materiali). E’ evidente che, mancando quasi del tutto un controllo dell’analisi da parte dell’utilizzatore di vernici, molto spesso la classificazione risentiva della capacità “commerciale” dello smaltitore, che contrattava il prezzo con il cliente non tanto in funzione della pericolosità del rifiuto, bensì della presenza di concorrenti più aggressivi o, peggio ancora, in funzione della possibilità di disporre di discariche compiacenti (nel senso che seppellivano sostanze pericolose senza avere l’autorizzazione a farlo, ma naturalmente a prezzi molto più bassi). La nuova legislazione invece, come abbiamo spiegato, non definisce limiti qualitativi o quantitativi, ma considera pericolosi i “recipienti contaminati che abbiano contenuto uno o più costituenti elencati nell’allegato H” (praticamente tutte le sostanze contenute nelle vernici e nei diluenti), indipendentemente dalla quantità e dalla qualità del residuo rimasto nelle latte.

CONCORRENZA SLEALE

Abbiamo avuto segnalazioni di applicazione della normativa in modi diametralmente opposti a seconda delle varie zone d’Italia. In alcuni casi le latte vengono affidate a smaltitori autorizzati, che le bonificano separando i materiali riciclabili, mentre nella maggior parte dei casi lo smaltimento avviene per mezzo dei rottamai o addirittura in discariche “di bocca buona”, le cui vicende legate all’ecomafia sono ormai di pubblico dominio. In termini di prezzi si va da un minimo di 350 lire al chilogrammo, nel caso di smaltimento “allegro”, fino alle 1,300 lire al chilogrammo per lo smaltimento più corretto. E’ evidente che una situazione di questo tipo si configura come l’ennesimo caso di concorrenza sleale a tutti i livelli: lo smaltitore corretto fa la figura del ladro e perde i clienti, mentre gli utilizzatori che pagano 1.300 lire invece di 350 pagano una sorta di “tassa ambientale” che li penalizza rispetto ai concorrenti!
Nel mezzo ci sta l’ambiente, in cui si riversano abusivamente circa 2/3 dei rifiuti pericolosi (dati del Ministero dell’Ambiente).