Io non voglio fallire

Serenella è  una di noi, una delle imprenditrici che hanno contribuito fare del nostro Paese realtà industriale di eccellenza. Una che ha lottato per salvare la sua azienda, il suo lavoro e quello dei suoi dipendenti  

A cura della Redazione

L’ALTRA FACCIA DEL NORD EST

Quella di Serenella Antoniazzi è una storia che colpisce dritta allo stomaco. La confessione senza censure di un’imprenditrice allo stremo, che ha saputo lottare per sopravvivere, tra giorni bui e false speranze. E’ anche la storia di una piccola azienda artigiana strozzata dal fa mento in bianco, ma che cerca di sistere, mettendoci tutto ciò che h l’anima, il cuore e la disperazione. Ma è soprattutto la testimonianza coinvolgente di una donna forte coraggiosa, che ha rimesso in discussione le priorità della propria vita e ha voluto raccontare la sua vicenda con un libro, scritto insieme alla giornalista Elisa Cozzarini.

Per Serenella il lavoro è come il sole: attorno a esso ha sempre ruotato tutta la sua vita, fin da bambina, da quando suo padre ha costruito, mattone su mattone, l’azienda di famiglia di levigatura del legno. È un sole che illumina tutto, che mette in moto, ma anche un astro esigente: nel 1985 a soli sedici anni si ritrova a lavorare nell’azienda; mettendo via sogni e aspirazioni di arredatrice si dedica anima e corpo a continuare il progetto del padre. Compiuti i diciotto anni si ritrova con cinquanta milioni delle vecchie lire in cambiali, proprietaria a metà della ditta, responsabile dei dipendenti. E l’azienda cammina, cresce, il lavoro continua a girare, fino a qualche anno fa. Nel 2008 si avvertono i primi sentori della crisi, soprattutto nel settore del mobile, eppure la piccola azienda resiste: attinge alle scorte, mantiene i posti di lavoro. Nel 2011 nuove e importanti commesse da parte di un grosso committente portano nuova linfa e fanno girare l’azienda, ma nel 2012 l’amara sorpresa: quell’enorme mole di lavoro, già fatto e consegnato, non viene pagata. Da qui si innesca un meccanismo perverso di insoluti, posticipi, acrobazie bancarie da parte del debitore, che le aziende del nostro settore conoscono bene. Dopo qualche mese Serenella, disperata, scrive una lettera al quotidiano “Nuova Venezia”, un appello partito dal cuore: cerca l’aiuto, l’appoggio degli enti e delle persone. La sua lettera viene ripresa anche da “La Repubblica”, e colpisce l’attenzione di un imprenditore che aveva appena passato un’esperienza analoga. L’imprenditore chiama Serenella, la conforta, cerca di esserle vicino. Sarà lui a impedire un suo gesto estremo quando Serenella scoprirà che il suo debitore ha avviato un fallimento in bianco, del tutto legalizzato dalla legge, e che probabilmente non potrà più avere i suoi soldi. Da allora Serenella riconsidera la sua vita, trova il coraggio di lottare, il lavoro come una speranza a cui aggrapparsi, come una forza che la fa stringere attorno ai suoi dipendenti, contro un nemico che si nasconde nelle maglie della burocrazia. Coinvolge altri fornitori nelle sue stesse condizioni in un’azione giudiziaria collettiva il cui esito è ancora tutto da scrivere. Piano piano ripaga i debiti, lavorando senza sosta, con la ferma intenzione di non voler fallire.

UN IMPRENDITRICE IN LOTTA PER SALVARE LA SUA AZIENDA

Leggendo il suo libro, si comprende che quello che è successo a Serenella poteva succedere a tutti. Al mattino esco di casa nel buio, i fari illuminano la prima nebbia di stagione, la vedo aleggiare sui campi spogli. Il lavoro è come il sole, mette in moto l’azienda con il suo personale, i fornitori, la banca, i clienti, riattiva il mercato, rimpolpa le casse dello Stato. Se manca, si ferma tutto. Alzo il riscaldamento. È il momento in cui in cielo ci sono luna e sole insieme, ho sempre pensato che in questi attimi ogni desiderio può prendere forma. Mi aggrappo a quell’idea, non voglio perdere la speranza, non voglio rinunciare a tutto ciò che ha costruito mio padre e che abbiamo fatto crescere, con mio fratello. Sempre più mi rendo conto che siamo di passaggio su questa terra. Ma possiamo scegliere se affondare i piedi nella sabbia, dove il vento cancellerà presto ogni traccia di noi, o provare a calpestare un terreno più solido, perché qualcuno ritrovi le nostre orme. So di aver dimostrato a mio figlio che lottare e credere in ciò che si fa è faticoso, ma è l’unica strada per non lasciarsi annientare come persone. Questo pensiero mi fa sentire in pace con me stessa. “Lei non sa niente di me, non ha idea di cosa voglia dire perdere tutto, avere voglia di non svegliarsi più, distruggersi per la vergogna, per aver fallito, per aver trascinato la propria famiglia nella disperazione, lavorare senza percepire stipendio, senza gratificazione, per impiegare ogni centesimo solo a pagare i debiti”. Mi ascoltano sorprese, attente. Continuo come un fiume in piena:
“Lei non sa cosa vuol dire sentire il proprio padre desiderare di vivere abbastanza per estinguere l’ipoteca sul capannone costruito mattone su mattone con le sue stesse mani”. Le lacrime sgorgano sulle guance, ma la voce è ferma, indignata, esasperata. Claudia resta in silenzio. L’altro avvocato è senza parole, il Giudice mi lascia continuare. E io non riesco a fermarmi: “sapete perché sono qui? Perché non voglio chiudere la mia azienda, lasciando undici famiglie senza uno stipendio da domani. Avvocato, lei elenca articoli di legge, agisce solo per difendere la sua assistita, eppure il sindacato dovrebbe pensare a tutti i lavoratori. Se mi costringete a pagare Ana adesso, avrete vinto una battaglia personale, senza pensare a nient’altro che al vostro interesse”. Mi ritrovo in piedi, il piumino è scivolato a terra. Guardo il Giudice. Ho finito. Mi siedo, le gambe di gomma non reggono più, il cuore scoppia, le tempie pulsano.

LEVIGARE ANTINE

L’analisi del mercato e della cultura imprenditoriale del settore vale più di un saggio socio-economico. Il mercato del mobile era in continua evoluzione. Laccati dai colori più diversi entravano di prepotenza nelle case di tutto il mondo, vecchi mobili carichi di ricci e intagli venivano sostituiti da linee lisce e lucide, maniglie in alluminio prendevano il posto delle vecchie gocce di ottone. I servizi di piatti e bicchieri, prima in bella mostra, finivano dietro a vetri satinati con serigrafie in superficie, i lavandini a colonna, re delle stanze da bagno, si circondavano di scaffali, specchi, mensole e antine dai disegni fantasiosi. Passavamo da un colore eccentrico all’essenzialità delle linee nel giro di poche ore. Lavoravamo ancora con il sistema del “dopo incasso”, aspettando la scadenza pattuita con il cliente per utilizzare i soldi. Pagati gli stipendi, i contributi, l’ IVA , i fornitori, riuscivamo sempre a mettere da parte una somma di denaro. Non ci facevamo trovare impreparati dalle tasse di maggio, le ferie d’agosto, quando la produzione si ferma e le uscite restano comunque fisse e onerose, l’acconto di novembre, le tredicesime di dicembre, lo sforzo per far fronte ai contributi doppi in gennaio. Operavamo pensando al futuro. Le regole erano le stesse di oggi, ma vigeva ancora un’etica personale e professionale, i clienti ti pagavano sempre nei tempi stabiliti. Non pagare equivaleva a essere un ladro, un truffatore. Adesso sembra una moda, anche chi potrebbe saldare una fattura alla giusta scadenza gioca con il fornitore come il gatto con il topo.

UNA VITA “ABRASIVA”

Io e Sonia siamo autodidatte, cresciute insieme, fianco a fianco, con fantasia e dedizione. Abbiamo assistito al cambiamento delle mode nel mondo dell’arredamento, evaso commesse nate dalla fantasia di stilisti incompresi. Le nostre dita hanno aggredito con la carta abrasiva superfici dure e aspre come rocce. Da noi non si lavora come robot, si parla, si usa la creatività. Solo così si riesce a essere completi, si impara a trovare soluzioni in autonomia. Levigare può sembrare un’attività facile, per cui non sono richieste qualità particolari. Per noi non è così. Il nostro impegno è concentrato sull’asportare dalla superficie dei pannelli in poliestere il più piccolo difetto. Ogni elemento va curato come se un giorno dovesse arredare le nostre case. Levighiamo elementi per mobili di qualsiasi forma e genere, per bagni, cucine, salotti, mensole, ripiani, credenze, tavolini, colonne, vetrine. Asportiamo gocce e grumi con la carta abrasiva, stucchiamo i buchi. Nel capannone, il rumore degli aspiratori sovrasta lo sfregare della carta, ma dopo anni riesci a sentire la musica del movimento, a capire come cambia in base alle fasi di lavorazione, ti accorgi quando i gesti diventano sinfonia e quando è il momento di smettere. Il braccio si muove sincronizzando polso e dita, la forza viene distribuita in modo uniforme. La superficie all’inizio viene solo sgrezzata, più si avanza nelle lavorazioni più sono necessarie precisione ed esperienza. Alla fine chiudi gli occhi e accarezzi i pezzi finiti con i polpastrelli liberi dai guanti e tocchi la perfezione. Impercettibile, solo una goccia del nostro sudore resta impressa sulla superficie levigata. Noi siamo l’ultimo passaggio prima della finitura, niente deve essere lasciato al caso. A volte, però, quando soffio via la polvere dalle ante per controllare che tutto sia a posto, mi capita di trovare frammenti di smalto di colori strampalati. Sono di Stefania. Non li tolgo, li lascio andare, le antine verranno verniciate, ma un pezzetto di noi rimarrà dentro la casa di una famiglia, in un piccolo appartamento dove qualcuno, da solo, si sta rifacendo una vita. Io, ricoperta di polvere bianca, stanca dopo i lavori più duri, sono orgogliosa di far parte di qualcosa di grande, la qualità del Made in Italy. Se un giorno l’ AGA non esisterà più, avrò lasciato in eredità le mani sapienti delle mie operaie.

RINGRAZIAMENTI

Riportiamo infine la pagina dei ringraziamenti che Serenella ha voluto fosse pubblicata alla fine del libro. Ritroverete tra questi nomi persone e aziende che molti di voi conoscono, gente come noi, gente vera e reale, come reale e vera è questa storia, che merita di essere raccontata e diffusa.
Un grazie a Mauro, Isabella, Saschia e Mauro, con cui a volte torniamo ragazzi, e a Giorgio Boccato, don Livio Corazza, Ildebrando Lava, Marina Marangon, Franco Moras, Claudia Murador, Nazzareno Ortoncelli, Loris Pancino, Ivan Pavan, Luca Trebbi, Elena Spironello, Giancarlo Zecchin e ai fornitori che ci stanno accanto: Solvepi S.p.a., Bottosso e Frighetto S.r.l., Nastroflex S.r.l., Martin Abrasivi S.r.l.
Siamo un piccolo anello di una grande catena, il coraggio, l’onestà e l’impegno della maggior parte degli imprenditori ita liani, come Atlantis S.r.l., Idelpaint S.r.l., Friulver S.r.l., Levigatura San Marco S.n.c., Fab S.r.l., Luxor di Moretto Daniele, Asia S.r.l., Plana S.r.l., LAPM S.r.l., fanno grande questo Paese.

Al link http://nuvola.corriere.it/2015/04/03/limprenditrice-che-resiste-io-non-voglio-fallire/  trovate un video con le immagini dell’azienda

LE AUTRICI

– Serenella Antoniazzi, classe 1968, è imprenditrice a Concordia Sagittaria, Venezia. Entra in azienda a 16 anni e a 24 si sposa. Ha una vita tranquilla, con il padre e il fratello porta avanti la piccola attività di famiglia nel settore del mobile, ma nel 2012 la crisi si abbatte pesantemente sull’azienda. A ridosso di Natale, Serenella decide di iniziare a far conoscere ciò che sta accadendo e da allora porta avanti una lotta solitaria, per non chiudere l’azienda e per non lasciare a casa i suoi otto dipendenti.
– Elisa Cozzarini, laureata in Scienze Politiche a Trieste, è giornalista pubblicista. Scrive di tematiche sociali e ambientali, collaborando con “Vita non profit” e “La Nuova Ecologia”. Per “Nuova Dimensione”, nel 2013 è autrice de “Il deserto negli occhi”, con Ibrahim Kane Annour. Nel 2014 ha vinto il premio Cigana per il giornalismo d’inchiesta in Friuli Venezia Giulia, per un servizio sul riutilizzo dei beni militari dismessi. Attualmente collabora con l’associazione Thesis per il coordinamento del Festival Dedica a Pordenone.