E’ necessario installare rilevatori in continuo sui camini degli impianti, per misurare le polveri in fase di emissione e tenerle sotto controllo adeguato
Pierromano Breseghello
Tribotecna
PREMESSA
Il desiderio di conoscere l’efficienza degli impianti di filtrazione e avere un monitoraggio continuo delle emissioni in atmosfera, è nato con gli stessi impianti, alla metà del secolo scorso. I motivi sono principalmente i seguenti:
gli elementi costituenti il filtro, come il feltro, tessuto o altro, sono soggetti a stress dovuto agli squotimenti di pulizia e si deteriorano, perdendo l’efficienza senza scadenze precise, provocando emissioni anomale;
il controllo gravimetrico periodico, previsto generalmente con frequenza annuale o semestrale, non è che un palliativo in quanto la possibilità di rottura di elementi filtranti o guasti, che comunque provochino emissioni anomale, possono accadere immediatamente dopo un controllo e, se non altrimenti segnalati, verrebbero scoperti dopo sei mesi o un anno, con le conseguenze immaginabili;
a parte l’aspetto ecologico, dato che vi sono dei limiti di emissione oltre i quali l’Utente dell’impianto può incorrere in sanzioni da parte delle competenti Autorità, riveste una notevole importanza venire a conoscenza repentinamente di eventuali guasti per evitare di incorrervi.
L’interesse, quindi, alla presenza di uno strumento adeguato è del Gestore dell’impianto così come delle Autorità competenti alla protezione dell’ambiente.
LA STORIA
I grandi impianti con emissioni importanti, come le centrali termiche, gli inceneritori, i cementifici ecc. furono dotati, negli anni 60, di opacimetri ottici ad estinzione di luce. Gli opacimetri erano utilizzati anche per rilevare e misurare i fumi dovuti a combustione di carbone e olio pesante. Le prime indicazioni di fumosità erano in gradi Ringelmann, con una scala 0-5 dove lo zero rappresenta aria trasparente alla luce e il numero cinque aria completamente opaca! Infatti erano strumenti grossolani e molto costosi, di manutenzione gravosa. Per il principio stesso su cui erano basati, ed erano adatti per grossi impianti, su camini con diametro di qualche metro! Ricordiamo gli apparecchi della Sick, Durag, LAND, SIE e altri. La tecnologia dei sistemi ottici delle aziende citate, molto sofisticata, è stata perfezionata al punto da rappresentare la soluzione migliore su grandi impianti, soprattutto per la possibilità di tenere sotto controllo la calibrazione del sistema, registrando, e controllando periodicamente, lo zero e lo span. Questi sistemi ad estinzione di luce sono stati i primi ad essere certificati da Enti come il TUV, il M-Cert e altri, ed essendo molto costosi, sia per l’installazione che per la manutenzione, sono prescritti solo in impianti, come centrali elettriche, inceneritori e altro. E’ impensabile, per vari motivi, utilizzare detta tecnologia per i piccoli impianti di filtrazione. Fino ad una trentina di anni fa ci si accorgeva che un filtro non era più efficiente quando in prossimità dello stesso si imbiancavano o si annerivano le auto e la biancheria stesa del vicino. Nel caso peggiore, arrivavano le telefonate ai Vigili con i problemi relativi (succede tuttora)! Si consideri che ad occhio nudo, nelle migliori condizione di luce, si inizia a rilevare una emissione anomala solo se supera i 20 mg/Nm3! Non essendoci, a quei tempi (anni ’70), soluzioni alternative economicamente accettabili, venne previsto e imposto per legge da vari Enti, fra i quali la Regione Lombardia, un pressostato differenziale ai capi del filtro. Detto pressostato avrebbe dovuto, in caso di guasto di un elemento filtrante, rilevare la minor caduta di pressione e dare un allarme! Posso assicurare che, da decenni, nessun allarme congruo sia mai stato dato da simile dispositivo! Avrebbe potuto indicare, forse, solamente un distacco di maniche del 50% e quindi emissioni probabili del totale carico inquinante.I motivi s ono così riassumibili:
un filtro nuovo ha perdite di carico dell’ordine di qualche mm di H2O, dopo un anno, con il progressivo infeltrimento del tessuto può arrivare a 200 mm, per cui non è definibile una soglia di allarme;
in un filtro medio un foro di 10 mm di diametro può provocare emissioni dell’ordine dei 50 mg/Nm3, quando la pressione differenziale non si sposterebbe di 0,1 mm di H2O;
da almeno trent’anni, per risparmiare aria compressa e quindi energia, viene utilizzato, in molti casi, un pressostato differenziale per comandare i cicli di pulizia nei filtri, in quanto se la caduta di pressione aumenta significa che il filtro è intasato ed ha necessità di essere pulito, mentre se la pressione differenziale cala viene interrotta la pulizia. Con l’interruzione della pulizia la pressione ricomincia a crescere per effetto del particolato che continua ad arrivare, con l’effetto di annullare ogni possibilità di dare un allarme. Negli anni 80 uscirono, negli Stati Uniti, le prime sonde per la rilevazione di polvere basate sul fenomeno del trasferimento di cariche elettriche, denominato triboelettricità ( Auburn). Appena usciti sul mercato erano costosi e relativamente poco performanti, in quanto non erano dotati di un display che desse una indicazione qualitativa del segnale provocato dalla presenza di polvere. Praticamente indicavano, con l’eccitazione di un relé, che era transitata una certa quantità di polvere. Le possibilità di regolazione della sensibilità erano ridotte e la dinamica, quindi, decisamente bassa. Negli stessi anni, un costruttore francese ha proposto un Polverimetro Laser, basato sull’intercettazione di un raggio laser, da parte del particolato all’interno di un camino. All’intercettazione del raggio da parte di un corpuscolo, viene emesso un segnale dovuto alla diffrazione della luce laser. Un ricevitore con fotodiodo adeguato converte gli impulsi luminosi in segnali elettrici. Valutando la frequenza degli impulsi luminosi registrati viene valutata la concentrazione di polvere. Si tratta di un dispositivo molto valido, ma costoso, che ci risulta tutt’oggi in produzione. Un dispositivo di rilevazione e misura della polverosità molto preciso, ma complesso e costoso, basato sull’assorbimento di raggi Beta, fu prodotto con poca diffusione e utilizzato solamente per rilevamenti statistici e ambientali. In Italia, durante gli stessi anni 80, fu progettato e realizzato un rivelatore di polvere denominato Leak-Detektor, basato sull’estinzione di luce, ma con particolari caratteristiche che lo rendeva molto apprezzato per vari motivi:
era molto sensibile, in quanto la rilevazione era basata sull’utilizzo della variazione della luce modulata dal particolato che passava attraverso il raggio luminoso, quindi possibilità di amplificazione del segnale alternato senza problemi;
era molto stabile e non influenzato da variazioni di sporcizia sui sistemi ottici, in quanto la luce era mantenuta costante con un circuito a retroazione;
era economico, con indicatore a bar-graph che permetteva una facile valutazione del segnale di polverosità.
Dato il relativamente basso costo e le buone prestazioni, ebbe un notevole impiego. Per inciso, questo apparecchio è ancora in produzione (Mecair, Gruppo Tyco). Dagli anni 80 in poi, nel mondo, vari costruttori iniziarono a produrre rilevatori di polvere basati su vari principi. Nell’ultimo decennio, grazie alla tecnologia elettronica, sono stati fatti molti passi avanti sotto il profilo delle prestazioni e dei prezzi.
ATTUALE STATO DELL’ARTE
E’ possibile dividere i rilevatori di polvere in due grandi famiglie, in funzione delle possibilità d’impiego. La prima si riferisce ai dispositivi d’allarme semplici, capaci di rilevare piccole fughe di particolato, dovute a difetti che possono sopraggiungere durante la vita dell’impianto. Sono denominati anche broken-bag (manica rotta). Questi dispositivi sono destinati ad essere montati a valle di depolveratori a secco a mezzo filtrante, al fine di produrre un allarme nel caso sia presente un guasto che può pregiudicare l’efficienza di filtrazione. La seconda riguarda le apparecchiature che con opportune soluzioni tecniche possono valutare le emissioni quantitativamente e dare dei segnali proporzionali e calibrati delle stesse, con la registrazione delle emissioni espresse in mg/Nm3. Fra i costruttori di questi strumenti si possono citare: PCME, Goien, Syntrol, Durag, Sick, Auburn, Dott. Foeddisch ecc. La produzione di queste aziende è rappresentata da strumentazione importante, ma soprattutto dotata di certificazioni come TUV e M-CERT, che sono richieste in caso di monitoraggio in impianti come inceneritori, centrali elettriche o altri grandi impianti con elevato impatto ambientale. Naturalmente dette apparecchiature hanno quotazioni molto elevate, dell’ordine di grandezza da 5.000 a 20.000 €. In questa sede non parleremo di questa categoria di strumenti.
NORMATIVE RECENTI
Con la partecipazione attiva di UNIARIA è uscita, di recente, la Norma UNI 11304-1 che riguarda “Impianti di abbattimento polveri, nebbie oleose, aerosol e composti organici volatili (VOC). Requisiti minimi prestazionali e di progettazione. Parte 1: Depolveratori a secco a matrice filtrante.” La norma definisce i requisiti minimi prestazionali e di progettazione dei depolveratori a secco a matrice filtrante per l’abbattimento del particolato solido presente nelle emissioni aeriformi di processi industriali. La norma si applica esclusivamente alle seguenti tipologie: filtri a maniche; filtri a tasche; filtri a cartuccia; filtri a pannelli; filtri sinterizzati.Della citata N orma riporto :…omissis 6.4 Sistemi di controllo. Al fine di poter controllare ed assicurare il mantenimento dei livelli di prestazione ambientale richiesti, sull’impianto devono essere predisposti i seguenti dispositivi:
idonea presa di misura per le analisi gravimetriche, dimensionata e posizionata al camino in accordo con quanto specificatamente indicato nella UNI 10169 e nella UNI EN 13284-1;
idoneo rilevatore di polveri da installare in prossimità della presa di misura di cui al precedente punto a). Tale rilevatore (triboelettrico, ottico), a seconda delle disposizioni degli Enti di controllo e in funzione del tipo di particolato solido e della portata di effluente aeriforme, deve essere in grado, in ordine di importanza, di:
rilevare e segnalare un’emissione istantanea anomala su piccoli impianti con basso impatto ambientale;
rilevare e misurare le emissioni medie (espresse in mg/Nm3), su medi impianti con basso impatto ambientale, con segnalazione di allarme in caso di superamento della soglia;
monitorare le emissioni in termini di concentrazione e flusso di massa su grandi impianti o su impianti con alto impatto ambientale, con registrazione dei dati su supporto elettronico. Tale monitoraggio deve permettere la diagnosi e una segnalazione di allarme in caso di emissioni anomale;
idoneo pressostato differenziale con monitoraggio in continuo della caduta di pressione ai capi dell’elemento filtrante, avente la funzione di segnalare l’intasamento dell’elemento filtrante stesso, cui deve seguire la relativa pulizia o sostituzione. La Regione Lombardia, per prima, ha recepito la Norma UNI; infatti è in via di revisione il DGR n.VII/196 del 22/06/2005 e del DGR n.VII /13943 dove, nelle schede D.MF.01 e D.MF.02 al punto 5. Sistemi di controllo, recita testualmente: Manometro differenziale o eventuale pressostato differenziale con allarme ottico e/o acustico o rilevatore triboelettrico quando cambia il carico inquinante. In seguito all’uscita della Norma UNI-11304-1 la dizione proposta dalla Regione per le schede citate, e che dovrebbe essere inserita nel prossimo DGR e, successivamente, pubblicata nel BURL (Bollettino ufficiale della Regione Lombardia) è la seguente: 5. Sistemi di controllo. Al fine di poter controllare ed assicurare il mantenimento dei livelli di prestazione ambientale richiesti, sull’impianto devono essere predisposti i seguenti dispositivi: a) idonea presa di misura per le analisi gravimetriche, in accordo con la UNI 10169 e la UNI EN 13284-1 e smi; b) secondo quanto previsto dalla Norma UNI 11304-1 ed eventuali successive modifiche, idoneo rilevatore di polveri (triboelettrico, ottico), da installare secondo la UNI 10169 e la UNI 13284-1, avente la funzione di rilevare e segnalare un’eventuale emissione istantanea anomala rispetto al limite imposto; c) idoneo pressostato differenziale con monitoraggio in continuo della variazione di pressione ai capi dell’elemento filtrante, avente la funzione di segnalare l’intasamento dell’elemento filtrante stesso, cui deve seguire la relativa pulizia o sostituzione. Plaudendo alla modifica importante vorrei, però, commentare alcuni punti che dovrebbero essere modificati per rendere il dispositivo più chiaro, più corretto e univoco, come deve essere una legge per non dar adito a varie interpretazioni.
Con riferimento al punto a) si dovrebbe poter distinguere, come d’altronde prevede la Norma UNI11304-1, un piccolo filtrino da una bag-house con 1.500.000 m3/h! Cito ad esempio i filtri montati sul tetto dei sili per cemento o altri prodotti, che sono di pochi metri quadri di superficie filtrante. Per poterne fare il prelievo gravimetrico, vanno dotati di un camino con bocchello che, per essere adeguati alle Norme UNI10169 e UNI13284-1 deve avere dimensioni e forma che appesantisce il costo, in quanto le norme prescrivono un tratto rettilineo pari a 5 diametri prima e 5 dopo il punto di prelievo. Sappiamo, però, che detta prescrizione è per rilevazioni su impianti importanti, su camini di grandi dimensioni per ottimizzare la precisione del rilevamento. Nei piccoli filtri di cui parlavo, date le loro dimensioni, sistemare un camino con dette proporzioni porta ad un onere notevole, quando, con una riduzione delle dimensioni a 4+2 diametri si potrebbe realizzare una soluzione economica con una riduzione non apprezzabile della precisione di rilevamento! Andrebbe perciò diversificata la sfera di applicazione e accettate soluzioni semplici su impianti a ridotte dimensioni. Si è discusso in Uniaria della possibilità di classificazione degli impianti, senza una soluzione concordata, ma sarebbe da riaffrontare il problema. Con riferimento al punto b), dato che le intenzioni del legislatore sono di poter controllare dell’efficienza del filtro, senza entrare nel merito di misura delle emissioni, è previsto l’impiego di un dispositivo capace di rilevare una emissione anomala che denunci l’avvento di un guasto nel sistema filtrante. Lo scopo è quello di mettere a disposizione del conduttore dell’impianto un segnale che permetta di programmare tempestivamente la manutenzione per ripristinare l’originale efficienza! Quindi, nessun dispositivo che debba valutare quantitativamente l’emissione. A questo punto è evidente che non serve predisporre il montaggio del dispositivo come richiesto:…da installare secondo la UNI 10169 e la UNI 13284-1. Queste norme, come si sa, stabiliscono la geometria degli impianti, in cui dovrà essere eseguito un prelievo gravimetrico per rilevare la concentrazione di particolato. La Norma UNI 11304-1, in effetti, prescrive il montaggio secondo dette norme, ma in quanto prevede al punto 2) e al punto 3) la possibilità di utilizzare un rilevatore di polvere per misurare l’emissione in continuo. In questi casi, per assicurare una maggiore precisione, è opportuno osservare dette prescrizioni. Per il punto 1), dove viene previsto solo un allarme, la UNI 113041, mancando il distinguo, erroneamente assimila il montaggio ai punti 2) e 3). In ogni caso, dal momento che non deve essere uno strumento di misura, è inutile dal punto di vista funzionale e rappresenta un gratuito aggravio economico per le aziende. In secondo luogo, la frase: “…avente la funzione di rilevare e segnalare un’eventuale emissione istantanea anomala rispetto al limite imposto”, potrebbe indurre (è già accaduto!), a pensare che il rilevatore debba prendere in considerazione “;il limite imposto”;, che quindi dovrebbe essere espresso in mg/ m3! La frase dovrebbe essere modificata nel seguente modo: “…Avente la funzione di rilevare e segnalare un guasto al sistema filtrante”. Con riferimento al punto c) va rilevato che la prescrizione, come tale, del pressostato differenziale, che peraltro risulta inserito nella Norma UNI 11304-1, non è pertinente. Infatti si tratta di un dispositivo che è esclusivamente utilizzato per ottimizzare la frequenza di pulizia e che rappresenta solo un’utilità per il conduttore e che, quindi, non essendo in alcun modo utile per la prevenzione all’inquinamento, non dovrebbe apparire come obbligatorio, ma solo una scelta. Direi che si dovrebbe, eventualmente, solo consigliarlo. Mi si permetta una analogia automobilistica: fra le dotazioni di un’automobile si potranno imporre determinate caratteristiche dell’impianto frenante, l’air-bag, l’ABS, o altro dispositivo di sicurezza, ma non l’autoradio! Questa decisione, comunque, rappresenta una svolta epocale per i sistemi di controllo e l’applicazione delle BAT, (best available technologies) nei sistemi di depolverazione, che giunge con vent’anni di ritardo! Vediamo, infatti, che il pressostato differenziale viene prescritto (anche se io non sono d’accordo sull’obbligatorietà), per il controllo dell’intasamento del filtro, mentre il controllo dell’efficienza è affidato ad uno specifico rilevatore di polveri! Vista la prescrizione delle nuove normative, ritengo interessante proseguire a descrivere l’attuale stato dell’arte dei rilevatori di polvere tipo broken-bag destinati ad assolvere quanto prescritto.
RILEVATORI DI POLVERE “BROKEN-BAG”
Sul mercato sono disponibili apparecchi con caratteristiche adeguate alle norme. La maggior parte sono basate sul principio triboelettrico, che permette di avere ottima sensibilità, anche su condotte di piccolo diametro, con bassi costi di produzione. Naturalmente sono molteplici le esecuzioni, sia per le dimensioni, la forma, il tipo di segnale emesso, le caratteristiche e il prezzo. Altre sono basate su principi diversi, ad estinzione di luce, scattering o diffrazione. Dato che la maggior parte, sul mercato, sono triboelettriche, preferisco approfondire le informazioni su questa categoria. Generalmente le sonde triboelettriche sono costituite da un contenitore metallico, che viene montato sulla condotta da controllare per mezzo di opportuni raccordi. Attraverso un isolatore passante, il circuito elettronico contenuto è collegato con un elettrodo che, all’interno della condotta, ha il compito di raccogliere le cariche elettrostatiche del particolato che transita con il processo per poterne valutare l’entità. Alcuni costruttori producono sonde che vengono collegate con una centralina per l’elaborazione dei segnali, altri concentrano nella testa metallica della sonda tutta l’apparecchiatura. Molte delle sonde attualmente disponibili sono soddisfacenti per la sensibilità a rilevare perdite, ma carenti per le prestazioni generali. In altre parole poche sono quelle dotate di caratteristiche sofisticate e con prestazioni generali di livello superiore, oggi ottenibili da una tecnologia a microprocessore di ultima generazione. Ad esempio, una delle caratteristiche molto importanti è l’autoverifica: se un elettrodo perde l’isolamento, la sensibilità diminuisce progressivamente fino a quando la sonda diventa completamente sorda. Se non è prevista una procedura di controllo si arrischia di vanificarne l’impiego. Una sonda di livello qualitativo superiore sarà quindi dotata di una verifica automatica periodica! uesta non è la sola caratteristica importante oggi possibile; le principali caratteristiche che una sonda dovrebbe avere, per una qualificazione ottimale, sono le seguenti:
tenuta stagna (IP67);
sensibilità (con capacità di diagnosticare emissioni dell’ordine di 0,1 mg/Nm3);
stabilità termica (possibilità di operare tra -10°C a + 70° senza derive significative sull’amplificazione; solo circuito elettronico);
possibilità di impiego ad alte temperature (almeno fino a 350°C);
insensibilità alle variazioni della tensione di alimentazione (-/+ 20%);
elevato range di sensibilità (possibilità di rilevare da 0,1 mg/Nm3 a 1000 mg/Nm3, senza regolazioni manuali);
facilità di calibrazione (auto set della sensibilità ad auto-apprendimento);
immunità ai disturbi (certificazione CE);
auto diagnosi (la sonda dovrebbe eseguire periodicamente e in modo automatico un test funzionale, denunciando eventuale carenza di sensibilità e mancanza di isolamento della sonda);
alimentazione separata galvanicamente dalla massa metallica della condotta;
facilità di montaggio e smontaggio (semplicità della manutenzione);
segnalazione di allarme per il superamento di un valore istantaneo (segnalazione di manica rotta);
segnalazione di allarme per il superamento di un valore medio (valutazione, dopo calibrazione, delle effettive emissioni espresse in mg/Nm3);
basso costo (allo stato attuale, con le caratteristiche indicate, meno di 1000 € al cliente finale).