Anni fa abbiamo collaborato con il consulente tecnico del tribunale incaricato di analizzare le cause di un grave incidente sul lavoro, avvenuto in un settore affine al nostro, contribuendo alla raccolta di dati e informazioni riguardanti la sicurezza dei forni di essiccazione di sostanze contenenti solventi infiammabili. Riportiamo ampi stralci della relazione peritale, in quanto la riteniamo utile alla promozione di una cultura della sicurezza nella verniciatura, di cui nel nostro settore si sente ancora la mancanza.
La diffusione della presente relazione peritale è stata autorizzata dal Pubblico Ministero competente, a seguito della chiusura dell’iter formale delle indagini: il testo “virgolettato in corsivo” che leggerete in questo articolo è la trascrizione fedele di quanto scritto nella perizia del Consulente Tecnico del Tribunale. I riferimenti a società e persone reali sono stati sostituiti con le denominazioni convenzionali utilizzate nella letteratura giuridica.
A cura di Massimo Torsello
I FATTI
“L’incidente è avvenuto alle ore 20.15 circa del giorno martedì 20 marzo 2007, all’interno del reparto spalmatura dello stabilimento produttivo della società ALFA Spa, durante il secondo turno di lavorazione delle bobine di nastro autoadesivo di imballaggio in PVC. L’incidente è consistito nella deflagrazione dei due forni di essiccazione sovrastanti la testata di spalmatura adesivo, dell’impianto produttivo denominato P2. L’incidente ha causato la morte del Sig. VERDI, presente all’interno del reparto in qualità di operaio spalmatore, alle dirette dipendenze della società ALFA. Il primo rapporto stilato dal medico legale intervenuto sul luogo dell’incidente ha indicato, quale causa del decesso, lo sfondamento della scatola cranica, con conseguente perdita di materiale cerebrale. L’incidente ha provocato, inoltre, il ferimento di altri sei addetti presenti in reparto. L’incidente, infine, ha determinato importanti danni materiali ed immateriali all’azienda ed ai suoi dipendenti, tra i quali:
– la sostanziale distruzione dell’impianto produttivo P2 in prossimità della testata di spalmatura adesivo;
– il grave danneggiamento di tutti gli impianti ausiliari immediatamente circostanti;
– il parziale danneggiamento delle strutture di copertura del reparto spalmatura;
– il danneggiamento dei serramenti del reparto;
– l’interruzione di tutte le attività produttive del reparto spalmatura nel corso del primo periodo di sequestro dell’area da parte delle competenti autorità;
– la perdurante interruzione delle attività produttive afferenti all’impianto P2;
– l’inquinamento del reparto spalmatura con le sostanze pericolose proiettate in ambiente dall’esplosione, ivi incluso materiale coibente a base di amianto;
– la messa in cassa integrazione di buona parte del personale aziendale;
– effetti psicologici a carattere traumatico e demotivante sul personale aziendale.
[…] La principale sostanza pericolosa coinvolta nell’esplosione è il solvente infiammabile che intride la mescola adesiva spalmata sul nastro di produzione. Il solvente in oggetto è una sostanza chimica con la denominazione commerciale di Esano (grado polimero), convenzionalmente denominato “esano tecnico”.
Per quanto riguarda le principali caratteristiche di pericolo del solvente, la scheda di sicurezza classifica il prodotto come “facilmente infiammabile”, “irritante/nocivo” e “pericoloso per l’ambiente”. La scheda specifica chiaramente, in particolare, che il prodotto può formare con aria miscele esplosive/infiammabili e che la sua fase vapore, più pesante dell’aria, può essere oggetto di ignizione a distanza. Per quanto riguarda le precauzioni d’uso antincendio e anti-esplosione, si prescrive altrettanto chiaramente di rimuovere tutte le fonti di accensione”.
L’impianto è una linea di spalmatura adesivi che prevede le seguenti operazioni sequenziali: “applicazione del primer sulla superficie del supporto da adesivizzare; applicazione dell’adesivo in forma liquido-pastosa sul supporto. Ogni sostanza è applicata sul supporto sotto forma di un sottile strato della grammatura desiderata. L’applicazione di ogni sostanza avviene mediante una specifica testata di spalmatura. A valle di ogni testata, il supporto viene fatto passare attraverso una o più camere di essiccazione (forni), dove un effetto combinato di calore e ventilazione consente di far evaporare il solvente (toluene per il primer, esano per l’adesivo) e di convogliarlo agli impianti di recupero”. In particolare, “il tunnel di essiccazione adesivo è composto da 8 forni essiccatori, connessi in sequenza mediante collegamenti stagni, 1 cappa aspirante posta subito a valle dei rulli della testata di spalmatura e 2 cortine di estremità, che agiscono come barriere contro l’ingresso dell’aria all’interno dei forni.
Durante la produzione, i forni essiccatori sono a tenuta stagna, inertizzati mediante azoto (fino a diminuire la percentuale di ossigeno al di sotto del 5%). Tutti i forni sono muniti di elettroventilatori; i primi quattro, in particolare, hanno una doppia ventilazione, sopra e sotto il nastro di linea. Il nastro adesivizzato si muove all’interno dei forni per trascinamento, scorrendo su rulli non motorizzati e rivestiti con trattamento antiaderente. […] Il controllo complessivo dell’impianto è assicurato da due plc…interfacciati in modo da scambiarsi informazioni di controllo. Gli operatori possono monitorare e modificare il funzionamento dell’impianto a partire da una serie di quadri di comando. La testata di spalmatura, in particolare, è dotata di un quadretto bordo-macchina che consente all’operatore, tra l’altro, l’avvio della linea di produzione e la regolazione manuale della sua velocità.
I sistemi di controllo sono programmati in modo da reagire automaticamente a particolari situazioni di anomalia o allarme che abbiano a verificarsi durante il funzionamento. L’anomalia più importante – che però non ha interessato la dinamica dell’incidente in esame – si registra quando la concentrazione di ossigeno all’interno dei forni essiccatori supera il 5%. In questo caso il sistema di controllo avvia automaticamente la cosiddetta procedura di “spurgo lento”, che prevede l’immissione al loro interno di una quantità aggiuntiva di azoto. Nel caso in cui la concentrazione aumenti ancora fino a superare l’8%, il sistema avvia la procedura di “spurgo rapido”, che prevede il lavaggio immediato dei forni mediante un flusso di azoto puro e l’asportazione del relativo solvente. Lo “spurgo rapido” è anche l’esito finale di alcune tipologie di allarme che non vengono risolte in tempo utile dagli operatori. E’ il caso, ad esempio – molto importante per l’incidente in esame – dell’allarme di “Massimo livello solvente”, il quale indica che i liquidi contenuti nel condensatore del sistema di recupero solvente hanno superato il livello di guardia. Ciò può essere dovuto a diversi fattori (la cui risoluzione è riservata ai manutentori meccanici), ma, secondo quanto affermato dai responsabili tecnici aziendali, la situazione di allarme talvolta si risolve autonomamente fermando la macchina, lasciando inertizzato il sistema ed attendendo 5 – 10 minuti, in modo che la pompa di drenaggio smaltisca l’eccesso di solvente accumulatosi nel condensatore.
A seguito dell’allarme di “Massimo livello solvente” il sistema di controllo effettua automaticamente: l’attivazione della sirena di segnalazione; la chiusura immediata delle linee di adduzione dell’adesivo alla testata di spalmatura; il rallentamento della velocità di linea ad un valore pari a circa 4 m/min; l’inizio del conteggio dei 15 minuti, entro i quali gli operatori devono intervenire per risolvere il problema; decorso questo transitorio di attesa, lo spurgo rapido (9 minuti); al termine dello spurgo, la predisposizione per l’apertura dei forni, mediante apertura delle loro valvole di ventilazione ed il conseguente ingresso di aria ambiente (de-inertizzazione). Si osservi che al termine di questa sequenza, gli operatori non dovrebbero spalmare, bensì effettuare esclusivamente le operazioni di manutenzione e/o riavvio della linea prescritte dalle istruzioni d’uso dell’impianto. La spalmatura, in particolare, dovrebbe sempre essere preceduta dalla re-inertizzazione dei forni.
RICOSTRUZIONE ANALITICA DELL’INCIDENTE
I quesiti a cui il Consulente Tecnico del Tribunale ha dovuto dare risposta, prevedevano:
– l’identificazione delle cause dell’esplosione;
– se il macchinario esploso presentasse vizi di costruzione, se non fossero state attuate corrette procedure di manutenzione o se l’evento sia da ricondursi ad una errata modalità di utilizzo dell’impianto;
– se fossero state implementate corrette procedure di sicurezza (documentali) e se il personale fosse stato adeguatamente informato e formato in merito.
Secondo i dati rilevati e le informazioni ricevute, il Consulente ha potuto ricostruire le cause più probabili dell’incidente mortale in oggetto, qui di seguito riportate.
La causa immediata della deflagrazione è stato l’innesco dell’atmosfera esplosiva presente alle ore 20.15 circa all’interno dei forni 1 e 2 dell’impianto di spalmatura P2, ubicati immediatamente al di sopra della postazione di lavoro della testata di spalmatura adesivo. L’atmosfera esplosiva è stata generata dalla miscelazione accidentale, all’interno dei due forni, di aria ambiente con vapori di solvente infiammabile in concentrazione tale da ricadere nel corrispondente campo di esplosività.
L’aria ambiente era stata introdotta nei forni nel corso della loro procedura di deinertizzazione, conseguente ad uno spurgo rapido dell’impianto. I vapori di esano, invece, erano stati successivamente rilasciati nei forni dal nastro di linea in movimento al loro interno, sul quale gli operatori stavano forzando la spalmatura dell’adesivo residuo presente nella testata dell’impianto al termine dello spurgo rapido. Quest’ultimo era stato attivato in automatico, per la seconda volta nel turno di lavoro, dal sistema di controllo della linea a seguito della mancata risoluzione, da parte degli operatori, di un ripetuto allarme di “Massimo livello solvente”, indicante un problema di eccesso di liquidi nei condensatori del sistema di recupero solvente.
L’indagine peritale ha rilevato che alla base di queste cause immediate, hanno agito una serie di ulteriori fatti e circostanze, identificabili come l’effettivo punto di partenza della catena incidentale, aventi sia natura strettamente tecnologica (vizi costruttivi, guasti, malfunzionamenti, etc.) sia natura organizzativo-gestionale (usi impropri, procedure inadeguate, formazione insufficiente, etc.). L’indagine ha mirato perciò alla definizione analitica di questi elementi eziologici di base, suddividendoli in: cause di mancata prevenzione dell’esplosione; cause di mancata protezione, dagli effetti dell’esplosione, dei lavoratori.
Per quanto concerne la mancata prevenzione dell’esplosione, l’indagine ha rilevato che essa è stata determinata da un insieme di cause plurime concorrenti:
– deviazione iniziale di processo (l’adesivo immesso nella linea di spalmatura presentava un eccesso di antimpaccante a base acquosa e l’acqua in eccesso ha provocato l’intervento dell’allarme “Massimo livello solvente”);
– inadeguata gestione dell’allarme (a partire dalle 18.30 nessun responsabile tecnico risultava presente in azienda); Questa assenza ha inciso in modo determinante sulla gestione deficitaria degli allarmi. In effetti, il capoturno non aveva la qualifica scolastica, la preparazione tecnica e l’autorità aziendale necessarie per gestire autonomamente situazioni complesse di allarme in produzione. In esito a tale incapacità di gestione della situazione, ai due allarmi successivi ha corrisposto sempre e soltanto la sequenza di spurgo rapido ed apertura forni, con la conseguente formazione di residui di adesivo in racla, situazione che da sempre comportava il rischio concreto – ma sottovalutato dalla direzione – di un uso improprio e pericoloso dell’impianto, che è effettivamente poi avvenuto);
– mancato rispetto della prassi di sicurezza per la pulizia della testata (queste modalità prevedono, ad impianto fermo, la pulizia esclusivamente manuale del calamaio di testata. Gli operatori, invece, hanno forzato manualmente la marcia e l’accelerazione della macchina, per spalmare i residui di adesivo pur non essendo l’impianto in condizioni di sicurezza, cioè a forni non inerti. In questo modo essi hanno involontariamente introdotto nei primi due forni una quantità di solvente in evaporazione, sufficiente a determinare un’atmosfera esplosiva);
– assenza di controllo di esplodibilità dell’atmosfera dei forni (i forni non risultavano dotati di sensori in grado di rilevare la formazione di un’atmosfera esplosiva al loro interno. Il sistema di controllo della spalmatrice, di conseguenza, non è stato in grado di fermare automaticamente la linea di produzione, a fronte della presenza di una miscela esplosiva);
– assenza di sistemi di prevenzione degli inneschi sull’impianto (non è presente, in particolare, alcun sistema per evitare la formazione delle cariche elettrostatiche che molto probabilmente hanno costituito l’innesco dell’atmosfera esplosiva generate dal rotolamento/scorrimento rapido del film plastico utilizzato come supporto al nastro adesivo in corso di produzione);
– assenza di allarmi/controlli sulla marcia e velocità di linea in condizioni di assenza di inertizzazione dei forni (il sistema di controllo non è stato programmato in modo da disabilitare automaticamente i comandi manuali di “Marcia linea” nella condizione di forni chiusi non inerti, [oppure] da limitare automaticamente la velocità di linea nella condizione di forni non inerti [né] da generare allarmi tali da risultare efficaci nell’avvertire l’operatore. Gli operatori hanno quindi potuto riavviare la spalmatrice dopo uno spurgo, sebbene vi fosse aria nei forni e questi non fossero aperti. Gli operatori, inoltre, hanno potuto accelerarela linea fino ad una velocità media di 45 m/min, molto superiore alla velocità limite oltre la quale la cappa di testata non è più in grado di aspirare il solvente in evaporazione.
Per quanto riguarda la mancata protezione dagli effetti dell’esplosione, l’indagine ha rilevato:
– assenza dei dispositivi di sfogo delle esplosioni (in loro assenza, la sovrapressione di esplosione ha determinato la proiezione verso il basso dei materiali ad alta velocità, che hanno impattato sul capo del lavoratore deceduto);
– impropria ubicazione della postazione di testata (i lavoratori operanti in testata erano obbligati ad operare costantemente con il loro capo situato a meno di un metro dal fondo del primo forno di linea, dove per altro si aveva la maggiore concentrazione dei vapori di solvente);
– mancata protezione superiore della postazione di testata (non è stata dotata di adeguate protezioni contro la proiezione di oggetti dall’alto in caso di esplosione);
– assenza di allarmi automatici pre-esplosione (l’impianto non è stato dotato di un sistema ottico-acustico di allarme, connesso ad appositi sensori di esplosività interni ai forni, tali da avvertire i lavoratori dell’imminente rischio di esplosione, consentendo loro di mettersi in salvo allontanandosi in tempo utile dalla postazione di testata).
VIZI COSTRUTTIVI DELLA SPALMATRICE
Al momento dell’incidente, l’impianto P2 presentava un insieme di caratteristiche costruttive tali da non garantire un adeguato livello di sicurezza contro le esplosioni, in particolare nel caso di utilizzo improprio della macchina. Queste caratteristiche, sono necessariamente intese come “vizi di costruzione” anche laddove esse si riferiscano ad aspetti costruttivi dell’impianto che, apparentemente accettabili dal punto di vista antinfortunistico al momento della progettazione originaria e della prima messa in servizio (1989-1991), tali non potevano più essere considerati al momento dell’incidente (2007) per almeno due ordini di motivi: l’entrata in vigore, successivamente al 1991, di nuove disposizioni di legge che hanno innovato il quadro delle prescrizioni tecniche antinfortunistiche applicabili (in primis il Dlgs 233/2003 sulla protezione dei lavoratori da atmosfere esplosive); l’evoluzione, successivamente al 1991, dei requisiti di sicurezza antiesplosione delle macchine. I vizi di costruzione così definiti hanno contribuito in modo determinante sia alla mancata prevenzione dell’esplosione sia alla mancata protezione dai suoi effetti.
Tutti i vizi di costruzione sopra descritti, risultano critici sia rispetto alle vigenti disposizioni di legge in materia di sicurezza sul lavoro, sia rispetto alle norme tecniche europee in materia di sicurezza delle macchine. L’efficace eliminazione di uno o più dei vizi costruttivi sopra descritti avrebbe consentito di evitare l’esplosione o di attutirne significativamente gli effetti, impedendo così l’infortunio mortale in oggetto. In particolare, uno o più dei vizi sopra descritti avrebbero potuto essere eliminati attraverso interventi tecnici di adeguamento della macchina spalmatrice, la cui onerosità complessiva non sarebbe stata di entità tale da rendere economicamente sconveniente la prosecuzione nell’utilizzo dell’impianto P2.
LE RESPONSABILITA’ DELL’AZIENDA UTILIZZATRICE
Sulla scorta dell’analisi delle cause tecnico-organizzative alla base dell’esplosione, è opinione del Consulente Tecnico che la motivazione essenziale dell’incidente sia da ricercarsi, in ultimo, in una grave insufficienza della valutazione dei rischi per la sicurezza dei lavoratori predisposta dall’azienda. Il datore di lavoro della ALFA Spa avrebbe dovuto prendere in debita considerazione questo concetto essenziale di sicurezza (quello di “uso improprio prevedibile” NdA), sia nell’ambito dell’adempimento dei suoi obblighi generali di revisione della valutazione del rischio, sia soprattutto, dopo il 2003, nell’ambito dei rinnovati obblighi di valutazione degli specifici rischi derivanti da atmosfere esplosive, derivanti dall’applicazione del nuovo Titolo VIII-bis del Dlgs 626/1994.
In esito alla valutazione del livello inaccettabile del rischio di esplosione connesso con l’utilizzo improprio dell’impianto P2, il datore di lavoro avrebbe dovuto attivare immediatamente uno specifico processo di ri-progettazione della macchina spalmatrice e del suo sistema di controllo.
E’ certamente significativo rilevare la mancata predisposizione, da parte del datore di lavoro, del “Documento sulla Protezione Contro le Esplosioni” e per quanto concerne il Documento di Valutazione dei Rischi desta una certa incredulità il constatare che il rischio per i lavoratori aziendali derivante dalla presenza di eventuali atmosfere esplosive è valutato addirittura come “rischio assente” e come tale, non necessitante di alcuna azione preventiva o protettiva. L’asserita assenza di qualsiasi rischio di esplosione, inoltre, contrasta palesemente con l’incidentalità pregressa dell’azienda.
Si riscontrano significative evidenze storiche di una carente gestione dei rischi di incendio ed esplosione dei siti produttivi industriali. Si citano in particolare i seguenti eventi: nel 2000 avviene un’esplosione nella cabina di riavvolgimento del prodotto finito dell’impianto di spalmatura P2, provocando il ferimento di 2 addetti di reparto e il danneggiamento delle attrezzature di produzione; inoltre, alla data degli eventi l’azienda risultava sprovvista del Certificato di Prevenzione Incendi ed è possibile affermare che il sito aziendale risultava, al momento dell’incidente, illegittimamente esercito in rapporto alle disposizioni autorizzative in materia di prevenzione incendi.
L’indagine peritale ha anche evidenziato l’assenza e/o la carenza contenutistica delle procedure documentali (istruzioni scritte) destinate al personale di conduzione dell’impianto P2, relativamente agli aspetti di sicurezza antiesplosione. E’ importante osservare come l’inadeguatezza delle procedure documentali dell’azienda sul corretto uso della macchina spalmatrice in occasione delle operazioni di pulizia della testata, rivesta un ruolo centrale nel giudizio critico sulla gestione della sicurezza antiesplosione. Risulta, infatti, immediato constatare che il mantenimento in servizio di un’attrezzatura di lavoro tecnicamente carente in fatto di prevenzione/protezione contro le esplosioni, unitamente alla concreta possibilità di un uso improprio della stessa da parte degli operatori di reparto; si vuole sottolineare, tuttavia, come l’uso improprio in oggetto risultasse non solo prevedibile, ma costituisse addirittura una prassi abituale della squadra di spalmatura infortunata, avrebbe richiesto nell’immediato l’attivazione da parte del datore di lavoro di efficaci misure organizzative e gestionali.
Da ultimo, l’indagine peritale ha evidenziato importanti criticità formative del personale aziendale in materia di sicurezza e salute sul lavoro. Queste criticità hanno contribuito indirettamente all’incidente mortale in esame. E’ stato appurato, infatti, come l’assenza di adeguate attività formative nei confronti della squadra di spalmatura coinvolta nell’incidente abbia favorito:
– una generale ignoranza o sottostima, da parte degli operatori di linea, dei pericoli di esplosione;
– la mancata applicazione delle corrette prassi di pulizia della testata di spalmatura;
– l’incapacità di gestire complesse situazioni di allarme da parte del capoturno.
Quanto sopra rendeva gli operatori di spalmatura presenti in reparto, impreparati a gestire in sicurezza tutte le operazioni di macchina. Del resto la strategia e la metodologia formativa della società ALFA Spa sono dettagliatamente descritte nella procedura interna “Competenza, consapevolezza e Addestramento”, orientate principalmente al miglioramento del sistema di qualità aziendale, allo scopo principale di “adeguare le capacità operative della struttura aziendale alle esigenze richieste dal mercato”. Formalmente quindi, non vi è alcun esplicito cenno programmatico alle esigenze di tutela dell’integrità psico-fisica dei lavoratori, dell’ambiente e dei terzi.
CONCLUSIONI
In Italia si continua a morire sul posto di lavoro (la media è di 3-4 morti al giorno) probabilmente perché esistono ancora troppi datori di lavoro che trascurano la sicurezza (dei propri dipendenti e di quelli altrui), al solo fine di incrementare i propri profitti. Investire in sicurezza è un costo (così come lo è investire in tecniche e tecnologie ambientalmente compatibili) che molti “poveri” imprenditori dicono di non poter sostenere se vogliono sopravvivere in questo mercato globalizzato; ma allora, forse, l’ipocrisia di fondo in questo ragionamento risiede nel fatto che il lavoratore (soprattutto quello destinato ai lavori meno qualificati e più pericolosi) viene considerato “merce” meno importante del prodotto che esso stesso lavora e non vale quindi la pena spendere tempo e soldi per la sua salute. Si sa, è molto difficile mettere l’etica davanti al profitto; è molto più semplice chiudere gli occhi e tapparsi le orecchie, sperando che nessuno venga a bussare alla porta per obbligarci ad adempiere ai nostri doveri. Viene da chiedersi come faccia certa gente a dormire sonni tranquilli…eppure ci sono anche in Italia validi esempi di imprenditori virtuosi che hanno saputo puntare sulla qualità e sulla sicurezza e non sono affondati, anzi, viaggiano a gonfie vele. Forse bisognerebbe promuovere con maggiore vigore la vecchia pratica dell’esame di coscienza e istituire delle scuole selettive in cui solo agli imprenditori seri e preparati venga data la facoltà di intraprendere una attività, invece che permettere a chicchessia di giocare con la vita altrui.
SICUREZZA NEI FORNI DI ESSICCAZIONE VERNICI
La lavorazione descritta nell’articolo è affine a quella che avviene nell’ambito della verniciatura (applicazione di resine, con conseguente emissione di solventi all’interno dei forni di essiccazione). Il Consulente tecnico del Tribunale nell’analisi delle cause dell’incidente ha utilizzato come riferimento normativo anche la norma EN 1539 (che definisce i requisiti di sicurezza dei forni utilizzati nella verniciatura) e ha evidenziato alcuni aspetti di estrema importanza per il nostro settore.
Dispositivi di sfogo antiesplosione
La norma citata, sottolinea che anche se i forni sono dotati dei requisiti essenziali di sicurezza, non sempre è possibile eliminare del tutto il rischio di formazione di un’atmosfera esplosiva pericolosa in presenza di una fonte d’accensione. É quindi necessario che in tutti gli essiccatori venga installato un dispositivo di sfogo dell’esplosione (pannelli, portelli ecc.).
Questi dispositivi non vengono utilizzati sui forni utilizzati nel nostro settore, in quanto il rischio di esplosione viene prevenuto mantenendo in efficienza i sistemi di ventilazione, per cui non dovrebbero mai crearsi condizioni di concentrazione di solventi superiori al limite LEL fissato dalla norma 1539. L’incidente descritto nell’articolo rende però necessaria un’attenta analisi da parte dei costruttori degli impianti di verniciatura e dei relativi forni, in quanto spesso non vengono realizzati sistemi di blocco automatico degli impianti in caso di anomalie sui sistemi di ventilazione, nè tanto meno apparecchiature di rilevazione del LEL.
Dispositivi di inertizzazione
In alcuni particolari tipi di forni statici vengono montati sistemi di inertizzazione a base di azoto, in modo da prevenire qualsiasi tipo di rischio. La citata norma EN 1539 prevede espressamente in questi casi (paragrafo 5.7.2.3.1) la possibilità di evitare l’installazione di un dispositivo di sfogo antiesplosione, ma l’infortunio mortale descritto nell’articolo si è verificato a causa di un forno in cui era prevista la possibilità di escludere l’impiego dell’inertizzazione ed è proprio in un momento di non funzionamento dell’inertizzazione che si è creata l’esplosione mortale. E’ evidente quindi che la norma EN 1539 presenta una carenza, probabilmente non considerata dai suoi estensori e l’incidente mortale in oggetto dimostra la necessità di una sua revisione, in quanto la parte finale del paragrafo citato, che prevede genericamente l’installazione di “…allarmi visivi e acustici che devono indicare tutti i guasti che interessano la sicurezza…”, si è dimostrata insufficiente.