impianti di depurazione solventi

Il lamento, ironico ma molto serio, di un consulente alle prese con l’autorizzazione alle emissioni “…vicentini…magnagati, veronesi…tuti mati, padoani…gran dotori, veneziani…gran signori…”.

Signor direttore, lei conosce, per caso, un detto per cremaschi e cremonesi?
A dire il vero, un detto per i cremonesi lo conosco anch’io, ed è quello delle “tre T”, ma non mi sembra pertinente al caso, e ci porterebbe troppo lontano (vedi note finali, ndr). A questo punto, signor direttore, lei si sarà spazientito, perché l’oggetto di questa mia nota è ancora oscuro e sarà tentato di cestinarla. Non si preoccupi: ci arrivo subito. L’argomento è l’autorizzazione alle emissioni in atmosfera per aziende meccaniche (tornerie e similari). Non si tratta quindi di un caso riguardante specificamente la verniciatura del legno, ma trattandosi di una questione legata ai limiti di emissione e alle difficoltà di rispettarli per le piccole e medie aziende, dono certo che interesserà anche i suoi lettori.
Tutti infatti sappiamo che il cosiddetto “federalismo ambientale” ha prodotto nel nostro Paese una variegata quantità di limiti e di prescrizioni, molto differenti a seconda delle Regioni e addirittura delle diverse Province, che hanno emanato norme e regolamenti che spesso penalizzano aziende che hanno soltanto la sfortuna di essere insediate a pochi metri dal confine in cui viene applicata una norma meno restrittiva.
Tali differenze ovviamente producono situazioni di concorrenza sleale, ma sembra ormai che tutti si siano rassegnati a un’anomalia che ci vede ben lontani dai principi dell’unificazione europea e dell’uniformità delle sue leggi. La vexata quaestio di questa mia lettera riguarda le prescrizioni contenute nell’autorizzazione della Provincia di Cremona, sapientemente suggerite dalla ASL di Crema.

Egregio direttore, mi consenta (si può ancora usare questo predicato senza sconfinare nel ridicolo? Veda lei, che è esperto in belle lettere, semmai trovi in sinonimo…), prima di entrare nel vivo dell’argomento, una breve premessa.
Per alcune lavorazioni industriali sono indicati, ormai da anni, precisi limiti ai camini di emissione, stabiliti in norme europee, recepiti con decreti nazionali, ripresi in direttive tecniche regionali, ribaditi nelle autorizzazioni provinciali (che fatica!).
E’ il caso, ad esempio, delle operazioni di sgrassaggio con solvente, tipiche del settore metalmeccanico, e delle emissioni di nebbie oleose, tipiche delle lavorazioni meccaniche con tradizionali macchine utensili (per queste ultime, per quanto ne so, ci sono indicazioni solo delle Regioni, l’Europa non ci aiuta, ma a noi lombardi la fantasia non manca).
Dunque, il rilascio di autorizzazioni per le aziende meccaniche dovrebbe essere un’operazione di routine, che si realizza in tempi rapidi e che si concretizza in limitazioni (prescrizioni) ben definite. Caro direttore, a dire il vero, i tempi non sempre sono rapidi.
Se ci è consentito (ancora questo predicato), diamo un encomio alla Provincia di Cremona, davvero rapida nel rilascio delle autorizzazioni ed anche alla “leonessa” Brescia.
La pedemontana Varese, ahimè, dovremmo dire che è in lista per la maglia nera, sebbene sia retta da amministratori in camicia verde. Bergamo, spiace dirlo, contende la maglia a Varese: sarà forse per un atavico problema di linguaggio (incomprensioni?).
Milano va benino, anche se, ultimamente, tende a scivolare verso il basso, mentre Monza, la più giovine, dopo qualche disavventura si sta ben riprendendo.
Della manzoniana Lecco non so che dire, così come della colta Pavia. Di Como mi dicono male (ma forse sono malelingue) e anche Lodi, probabilmente in crisi di identità per la prossima soppressione, stenta a batter colpo. Sondrio e Mantova…non le conosco, sono troppo lontane dal centro; forse lei avrà notizie anche dalle estreme province dell’impero formigoniano (speriamo, tra breve, di poter cambiare l’aggettivo).
Mi rendo conto che la digressione si è protratta troppo a lungo, quindi torniamo sul pezzo: le autorizzazioni per lavorazioni meccaniche rilasciate, in tempi rapidi, dall’efficiente Provincia di Cremona.
Il problema, almeno in quel di Cremona, non è il tempo di rilascio di tale “permesso” per le aziende, bensì il suo contenuto; infatti, oltre alle prescrizioni usuali e, a mio giudizio ragionevoli, contenute nelle autorizzazioni di tutte le province che si riconoscono sotto la Rosa Camuna, quelle rilasciate in terra cremasca contengono un addendum davvero originale, per usare un eufemismo. Richiedono infatti, su proposta della solerte ASL di Crema, precise informazioni, aggiuntive rispetto alle solite. Va detto che alcune delle informazioni richieste dai sanitari cremaschi (mi conceda la semplificazione) sono contenute nelle istanze presentate dalle aziende; ciò farebbe pensare che le domande di autorizzazione sulle quali si esprimono i suddetti sanitari non vengano lette ma, del resto, signor direttore, con tutto quel che han da fare i signori dottori (o i chimici, o i biologi, o gli infermieri, o a chi tocca il rilascio di certi pareri), mica possono leggere tutto quello che arriva sul tavolo, non crede? Ma insomma, quelle informazioni già fornite, si possono ricopiare e rispedire; è un po’ una perdita di tempo, ma tant’è, anche il minore dei mali.
Sono le ulteriori richieste che, invece, preoccupano le aziende che prendono seriamente quanto richiesto dai tutori della salute cremasca. Riprendo testualmente: “ Ai fini della tutela della salute pubblica, è necessario predisporre una valutazione quali-quantitativa degli inquinanti emessi:
 breve descrizione del sito topografico in cui si insedia l’impianto, zona PGT, individuazione nel raggio di almeno 1.000 metri, di insediamenti produttivi e civili con permanenza continuativa di persone;
 breve descrizione dell’impianto con:…omissis…;
 pericolosità degli inquinanti/ sostanze prodotti dall’impianto;
 interazione potenziamento con sostanze emesse dagli altri eventuali impianti circostanti;
 valutazione del trasporto e della diffusione degli inquinanti nei comparti ambientali (acqua, aria, suolo, catena alimentare);
 analisi epidemiologica del contesto (livello minimo comunale) ante operam;
 simulazione nell’ipotesi di variazione dell’impatto dell’impianto sull’ambiente e sulla popolazione.”

Egregio direttore, io sono rimasto basito, anche perché dovrò cercarmi un altro lavoro: certo non sono in grado di aiutare le aziende a fornire le risposte richieste e, obtorto collo, finirò per rinfoltire la lista degli esodati (ma questo è un problema personale, che non merita l’attenzione della stampa specialistica). Lei che ne pensa ? E che ne penseranno i suoi lettori, tra i quali numerosi sono i funzionari pubblici ? Sarei felice di aver qualche risposta.
Qualche mio più giovine e acculturato collega mi suggerisce che, anche quando ci sono aziende per le quali si deve procedere alla Valutazione di Impatto Ambientale o al rilascio dell’Autorizzazione Integrata Ambientale (AIA), non vengono richieste le complesse valutazioni imposte invece al mio cliente tornitore.
Io di VIA non ne so nulla e l’unica aia che conosco è quella della fattoria, quindi, prudentemente, mi astengo dal far commenti. Tuttavia ho un sospetto: non è che si sia messo sullo stesso piano una torneria di taglia medio-piccola e l’Ilva di Taranto? Dovremmo chiederlo al dotto ministro Clini, che da anni si occupa di emissioni in atmosfera (ricorda, egregio direttore, fu proprio Clini a presentare e sostenere il D.M. 12.7.1990, quello dei limiti alle emissioni degli allora impianti esistenti, tanto avversato dalle Regioni perché giudicato arretrato, ma sedici anni dopo inserito negli Allegati del D.Lgs. 152/2006, validi anche per i nuovi impianti ?).
Ancora una volta mi son lasciato prender la mano e son andato fuori tema. Ritorniamo sull’argomento. Ora, signor direttore, lascio a Lei e alla sua competente rivista il compito di dibattere la questione, di raccogliere pareri sulle richieste sopra riportate che, elegantemente, definirei inusuali.
Per quanto ho appreso, le suddette informazioni sono richieste per qualsiasi istanza di nuova autorizzazione e per qualsiasi dimensione di azienda e tipologia di inquinanti emessi (insomma, sembrerebbero richieste di routine).
Un parere io ce lo avrei, ma non voglio condizionare il futuro dibattito; e poi, lei mi conosce, ho da tempo i capelli grigi, ma ciò non sempre è caratteristica di saggezza e qualcuno potrebbe tirare in ballo una mia precoce demenza senile.
Gli operatori della verniciatura non si sentano privilegiati rispetto a quelli della metalmeccanica, perchè sono certo che in qualche Regione o Provincia qualcuno abbia già pensato o stia pensando, in nome di un distorto principio di salvaguardia ambientale, ad applicare limiti particolarmente restrittivi anche su questo tipo di lavorazioni.
Per concludere, signor direttore, lei pensa che la questione da me sollevata possa essere oggetto di un proficuo dibattito tra gli addetti ai lavori? Lo scoprirò leggendo il prossimo numero della sua rivista. Per intanto, cordialmente, la saluto.

Un consulente disperato

Note per i lettori extra-Lombardia
– Le “tre T” di Cremona: turùn, turàs, tetàs (il torrone, la torre campanaria e la .. prosperità femminile).
– La Rosa Camuna, riprodotta sui graffiti rupestri dei Camuni (antichi abitanti della Val Camonica), è il simbolo della Regione Lombardia, quello che sembra un vecchio rubinetto dell’acqua.

Nebbie in Val Padana – 08/03/2013
Il lamento, ironico ma molto serio, di un consulente alle prese con l’autorizzazione alle emissioni
Leggi l’articolo