Franco Bulian – vicedirettore Catas
La crescente consapevolezza sull’importanza di condurre stili di vita sani, ci porta sempre più a considerare la qualità di ciò che assumiamo, soprattutto in ambito alimentare.
Non servono certamente esempi per testimoniare quanto questi concetti siano ben consolidati nella nostra quotidianità e come stiano condizionando le nostre scelte, nonché le strategie delle aziende produttrici, anche a livello comunicativo. Se l’attenzione sugli alimenti è indubbiamente molto elevata, c’è invece meno consapevolezza
sull’importanza della qualità dell’aria che respiriamo. Eppure, se facciamo qualche semplice calcolo, ci possiamo facilmente accorgere che ogni giorno portiamo all’interno del nostro organismo circa dodicimila litri di aria, che in un anno corrispondono a più di quattro milioni di litri ovvero, grosso modo, al volume di due piscine olimpioniche. Sappiamo che l’aria è principalmente costituita da azoto, ossigeno e altri gas (anidride carbonica, argon eccetera), ma al suo interno sono presenti anche sostanze differenti, derivanti dalle più svariate fonti, che possono influenzarne notevolmente la qualità. E se ci chiediamo “dove respiriamo”, dobbiamo constatare che la maggior parte della nostra vita (oltre il 90 per cento, secondo alcuni studi), la trascorriamo all’interno degli edifici, in casa, in ufficio, nelle scuole, al ristorante o negli ospedali. La qualità dell’”aria interna” dovrebbe essere quindi oggetto di particolare attenzione, considerando quanto è influenzata sia dai materiali che ci circondano, sia dalle nostre attività quotidiane, ad esempio la cottura dei cibi, la pulizia, l’igiene personale e molto altro ancora. Su questi temi è stato organizzato dall’Ispra (l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale) un work-shop, che ha visto coinvolte importanti Istituzioni italiane, fra cui Enea- Agenzia nazionale per le nuove tecnologia, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile, l’Istituto Superiore di Sanità, il Ministero dell’Ambiente, l’Università Cattolica del Sacro Cuore l’Università la Sapienza di Roma.
C’è, fortunatamente, una crescente attenzione verso la qualità dell’aria indoor da parte degli enti che si occupano, a vari livelli, della salute pubblica.
Molti studi oramai testimoniano chiaramente che diverse patologie sono imputabili o sono comunque legate alle sostanze “inquinanti” che costantemente respiriamo all’interno delle nostre case o degli ambienti che frequentiamo, un problema legato anche al continuo miglioramento dell’isolamento degli edifici, che se da un lato ne incrementa l’efficienza energetica, dall’altro riduce significativamente lo scambio d’aria con l’ambiente esterno. L’incontro di Roma è dunque servito per fare il punto su questi temi e aggregare le varie competenze esistenti, al fine di iniziare a trattare il così detto “inquinamento indoor” in modo complementare e sotto tutti i punti di vista: tossicologico, medico, analitico e normativo. La volontà di creare una cultura sul “respirare bene” è testimoniata anche dal coinvolgimento al work-shop di alcune realtà che giocano un ruolo fondamentale in questi ambiti, come l’industria chimica e i rappresentanti del mondo dell’edilizia. Il Catas era presente a questo tavolo in virtù della notevole esperienza maturata – e largamente riconosciuta – nell’ambito delle analisi delle emissioni dai materiali.
Senza considerare la più che trentennale attività dell’istituto nell’ambito specifico dell’emissione di formaldeide dai pannelli, il Catas è sicuramente il laboratorio italiano che esegue più prove di emissione di VOC (Composti Organici Volatili), con una notevole banca dati di oltre mille materiali analizzati.
Sono stati proprio i “numeri” presentati da Catas che hanno consentito ai partecipanti al work-shop di comprendere quali sostanze possano essere emesse dai vari materiali impiegati nel mondo dell’edilizia e in quello dell’arredo. Si è così potuto iniziare a ragionare concretamente sui loro effetti, sulle eventuali limitazioni e sulla possibilità di intervenire per una loro riduzione a monte. L’esperienza di Catas si è rivelata utile per mettere a fuoco alcuni aspetti delicati legati a questi temi, aspetti che devono essere adeguatamente considerati e trattati consapevolmente dagli organi competenti. E’ noto che anche il legno e i suoi derivati emettono naturalmente alcune sostanze, ma se le autorità preposte dovessero adottare regolamenti o norme assolutamente stringenti, o agire in modo indiscriminato, perfino il legno potrebbe subirne gli effetti, benchè accompagni da millenni la vita dell’uomo e pur essendo stato recentemente riscoperto come un materiale moderno, data la sua intrinseca sostenibilità ambientale. Il problema è, dunque, valutare attentamente e analiticamente quali e quante sostanze volatili ritroviamo attorno a noi e quali debbano essere limitate o bandite a beneficio della salubrità degli ambienti.
I prodotti a basso contenuto di sostanze organiche volatili, nel caso soprattutto di vernici e adesivi, sono sicuramente più rispettosi dell’ambiente, ma il loro contributo all’inquinamento indoor deve essere valutato in modo specifico, in quanto dipendente dal tipo di sostanze comunque presenti e dalla loro “volatilità” (la velocità con cui evaporano). L’equazione “basso contenuto di solventi = basse emissioni indoor” non è dunque sempre veritiera.
I prodotti realizzati con materie prime “naturali” possono essere suggestivi in termini di sicurezza per l’ambiente e per l’uomo, ma anche in questo caso le esperienze analitiche testimoniano a volte il contrario, sottolineando ancora una volta come test e prove condotte secondo criteri definiti siano l’unica strada percorribile per una valutazione seria e concreta della sicurezza di un qualsiasi prodotto. Obiettivo largamente condiviso dai partecipanti al work-shop di Ispra è stato cercare di creare una cultura su questi temi, in modo che si formi e si consolidi una vera e propria coscienza sull’inquinamento indoor da parte dei produttori e dei consumatori finali. Questo movimento dal basso avrebbe un’indiscutibile forza nell’indirizzare il mercato verso prodotti più virtuosi in termini di emissioni. Tale processo, sebbene lungo e certamente difficile da perseguire, è stato comunque ritenuto più efficace rispetto a eventuali imposizioni legislative che, da sole,difficilmente otterrebbero i risultati auspicati, venendo probabilmente interpretate solo come un ulteriore aggravio in termini di leggi e di imposizioni burocratiche. Un primo importante passo verso un chiarimento sul tema delle emissioni indoor è stato dunque compiuto. L’auspicio conclusivo è che questo modo di operare da parte di chi sovraintende alla definizione di regole sulla sicurezza e sulla salute pubblica prosegua con
lo stesso spirito di oggettivazione scientifica e di collaborazione, chiaramente dimostrate e apprezzate in occasione di questo significativo evento.
LA SITUAZIONE NORMATIVA SULLE EMISSIONI INDOOR
L’odore di nuovo, che spesso percepiamo in una nuova abitazione, in un edificio ristrutturato o comunque in un ambiente rinnovato, è dunque conseguente alla presenza nell’aria che respiriamo di solventi, di monomeri, di plastificanti e di altre sostanze che provengono dai materiali e dagli oggetti che ci circondano. Tutte queste sostanze, chiamate composti (o sostanze) organici volatili (COV o SOV), penetrano nel nostro organismo attraverso la respirazione, potendo quindi interagire in vari modi con il nostro organismo e dando anche luogo allo sviluppo di potenziali patologie. L’Unione Europea ha recentemente pubblicato il regolamento UE n. 305/2011, che comprende il controllo delle emissioni tra i requisiti di base per tutti i materiali da costruzione. Per i prossimi anni sono dunque attese delle specifiche normative europee che regoleranno in modo dettagliato questa complessa materia. Tre Stati membri, Francia, Germania e Belgio, hanno già pubblicato delle specifiche regolamentazioni nazionali sulle emissioni indoor che tutti i produttori devono pertanto conoscere e rispettare se vogliono
esportare liberamente i loro prodotti in questi Paesi. Inoltre, nel corso degli ultimi anni, si sono sviluppate sia delle certificazioni volontarie, come Ecolabel, sia capitolati di enti pubblici e privati che contengono requisiti riferibili proprio al tema delle emissioni di sostanze organiche volatili da parte delle materie prime o dei prodotti finiti. La conoscenza e il rispetto di questi regolamenti è spesso indispensabile a quelle imprese che vogliono commercializzare i propri prodotti in determinati ambiti. In Italia esiste un decreto del 2008, che limita l’emissione di formaldeide dai pannelli a base legno e dei prodotti con essi realizzati, richiamando il rispetto della classe E1 definita dalla normativa europea di riferimento.